«Più che incredula è una generazione che nell’anima sperimenta forme ardite di pluralismo e attorno a sé vive forme originali di biodiversità religiosa». Il sociologo Franco Garelli ha tracciato l’identikit spirituale dell’Italia che va dai 18 e i 29 anni. L’indagine condotta sul campo lo scorso anno (1.450 i ragazzi intervistati) è diventata un libro, edito dal Mulino: Piccoli atei crescono, davvero una generazione senza Dio? Un interessante punto di partenza per la riflessione in vista del prossimo Sinodo dei vescovi chiamato a ragionare tra due anni esatti - nell'ottobre 2018 - di natura, identità, aspettative e senso religioso delle nuove generazioni.
«I giovani italiani che si dichiarano non credenti rappresentano il 28 per cento del totale». Tanti? Pochi? «Se si guarda a dati di ricerche comparabili, la percentuale risulta in crescita: negli anni ’80 e ’90 non superava il 10-15 per cento; nel 2007 era del 23 per cento. Se si confronta questa rilevazione con lavori simili realizzati in altri Paesi si scopre che l’Italia ha livelli di ateismo inferiori. Svezia, Germania, Olanda, Belgio e Francia, ad esempio, contano al loro interno una quota di giovani che non credono in Dio oscillante tra il 50 e il 65 per cento L’Italia ha un profilo che richiama la Spagna (37 per cento di giovani non credenti) e il Portogallo (20 per cento). Gli Usa sono un caso a parte: si dichiara ateo non più del 18 per cento dei giovani».
GIOVANI E FEDE, IN ITALIA: LE CONFERME
Quali sono le conferme emerse dal vostro lavoro? «Resiste uno zoccolo duro di giovani cattolici convinti e attivi: il 10,5 per cento. Il 19,1 per cento si dice convinto ma non sempre attivo. Molti di questi ragazzi sono andati a Cracovia, a luglio, prendendo parte alla Gmg. La trasmissione della fede, ed è anche questo un dato noto, avviene soprattutto in famiglia grazie a genitori (e a nonni) che non si limitano a dire “Vai a Messa” o “Hai detto le preghiere?”, ma che vivono il dato religioso come fondativo della propria esistenza, sforzandosi di essere coerenti».
GIOVANI E DIO: LE NOVITA'
Quali sono, invece, le novità? «Molti atei non “nascono” tali. Lo diventano, anche se nella loro storia hanno vissuto esperienze positive in parrocchia, in movimenti, in casa. Non hanno alla base una socializzazione negativa o un confronto problematico su certi temi, sembra piuttosto che non avvertano più la necessità del trascendente. Tra i giovani, il mondo della fede e quello della non fede appaiono piuttosto articolati. I confini tra le due sfere sono assai porosi. Colpisce che il 36,3 per cento si dichiari cattolico per tradizione ed educazione: si pensava che una certa religiosità di facciata appartenesse alla mia generazione o a quella che mi ha preceduto, non a quella dei figli o dei nipoti che si pensava più propensi a schierarsi o di qua o di là. Un altro aspetto tutto sommato inedito è il rispetto reciproco, impensabile o quasi qualche anno fa, segno della definitiva caduta degli steccati ideologici. Fa riflettere il fatto che molti giovani che si professano atei ritengano plausibile credere in Dio anche nella società contemporanea, negando quindi l'assunto che la modernità avanzata sia la tomba della religione e al tempo stesso che molti credenti sono consapevoli di quanto sia plausibile non credere di fronte alle difficoltà che si incontrano».
«Alla domanda “cosa accetti o cosa rifiuti della religione”», prosegue Garelli, «hanno volutamente rispondere pure molti non credenti. In tanti hanno hanno citato come esperienze positive gli oratori, sacerdoti ‘famosi’ come don Luigi Ciotti o don Andrea Gallo, ma anche il prete conosciuto in parrocchia, mentre la pedofilia e la ricchezza sono individuate come il male, ma più per quel che è diventato un “sentire” diffuso, frutto di tanta insistenza dei media, che per esperienza diretta. E questa è una ambivalenza interessante, conta il positivo sperimentato ma allo stesso tempo pesa il negativo dell’opinione pubblica».
EFFETTO BERGOGLIO
Papa Francesco e la Chiesa, infine. «Il primo sì, la seconda no, o meglio: dipende. La figura di Jorge Mario Bergoglio suscita interesse anche in chi non si dichiara credente. Piacciono più gli aspetti sociali che quelli spirituali. Circa la Chiesa c’è una generalizzata resistenza. Il dato di fede, quando c’è, è vissuto più a livello individuale che collettivo».