A sorpresa, durante la sua visita in Paraguay, papa Francesco ha visitato la Fraternità San Carlo Borromeo di padre Aldo Trento. Ecco il reportage da Asuncion pubblicato su Famiglia Cristiana.
Padre Aldo Trento ha gli occhi e la
pelle chiara, la voce afona e l’accento
veneto che ci rende familiare
il “suo” castigliano. Alle pareti d’ingresso
della missione è riprodotta la serie
completa degli affreschi della Cappella
degli Scrovegni di Giotto; fuori, in cortile,
una baita di montagna con la scritta
“Caffè letterario van Gogh” e la pizzeria
“O sole mio”. Tutte le strutture della missione
(asilo, scuola, clinica, poliambulatorio)
sono raccolte in un bizzarro castello
medievale. Aiuole e siepi all’italiana,
curatissime, incorniciano il quadro
di questa orginale parrocchia-missione
intitolata a San Rafael, l’arcangelo, “colui
che guarisce”.
Se non fosse per il caldo tropicale, le
grida dei tucani e quelle 14 ore di volo
che ci separano dall’Italia, verrebbe da
pensare che siamo capitati, fuoristagione,
in un nostro oratorio estivo. Anche i
parrocchiani – “paraguagi” discendenti
degli antichi indios guaranì imparentati
con meticci spagnoli – hanno tratti somatici
non poi così diversi dai nostri.
Ci troviamo in un quartiere né ricco
né povero di Asunción, capitale del Paraguay,
dimenticato Paese del cono sud
dell’America latina, stretto tra Argentina,
Bolivia e Brasile. Paese verdissimo, attraversato
dai rii Paraguay e Paraná, e
che attrae i turisti per le bellissime cascate
di Iguassu. Paese di un terzo più esteso
dell’Italia e poco popolato: sei milioni
di abitanti, un milione e mezzo in città,
il resto disperso in spazi immensi, dove
il chaco (steppa) e la foresta tropicale lasciano
qua e là il posto ai grandi allevamenti
di bestiame (estancias); e dove piccole
fattorie schiacciate dal latifondo si
perdono nei campos, mentre le casette
unifamiliari si allineano lungo la statale
o si raccolgono in ordinati pueblos intorno
a qualche antica missione gesuitica o
francescana. Dopo 35 anni di dittatura il
Paese vive dal 1989 un apparente, democratico
progresso da “terzo mondo”, che
lascia comunque migliaia di paraguagi
in condizioni di miseria.
Dalla favela alla missione
In auto, con padre Aldo, perlustriamo
le sacche di povertà di Asunción. Un favelados
armato ci allontana bruscamente
dall’enorme discarica in cui ci siamo
avventurati, brulicante di uomini “del riciclo”
e naturale zona franca di illecite
attività. Percorrendo le strade in terra
rossa della grande favela che si stende
ai piedi della discarica, si incontrano
bambini che tornano da scuola coi colletti
inamidati e la divisa blu. Stride il contrasto. Ma li ritroveremo sugli spartitraffico
delle vie centrali, nel pomeriggio,
a vendere frutta e verdura. Qui e
nell’altra favela che degrada verso il fiume
Paraguay (che a ogni piena invade
le baracche), padre Aldo viene a prendere
i suoi ragazzi e gli ammalati terminali
(Aids e tumori) di cui si prende cura nella
clinica San Riccardo Pampuri, fiore all’occhiello
della missione.
Scendiamo dall’auto per salutare un
bimbetto, sì e no due anni, che vaga seminudo
nella polvere del recinto intorno
alla sua baracca. Tra un anno padre
Aldo potrà portarlo a San Rafael, dove
imparerà a giocare con gli altri bambini;
e soprattutto a capire – in una società
dove è totalmente assente la figura
paterna – che tutti abbiamo un Padre;
che per lui avrà il volto di padre Aldo, di
padre Paolino (ex carrozziere di Imola,
già missionario in Cile, che organizza
tra l’altro i lunedì del “Caffè letterario” e
la redazione del foglio Observador Semanal);
di padre Ettore, alla sua prima
esperienza missionaria, che insegna all’Università
Cattolica di Asunción ed è
bravissimo a far giocare i bambini.
Il cristianesimo è un incontro
Sulla porta della chiesa parrocchiale il
“manifesto” della missione: «Lucifero il
principe degli onesti, l’angelo più puro,
più bello, senza difetti, la personificazione
di tutti i valori di moda oggi; però orgoglioso,
sino al punto di voler essere come
Dio. E l’arcangelo Michele, che significa
“Chi è come Dio?”, lo caccia all’inferno
». Parole che richiamano perfettamente
nel senso l’inizio dell’enciclica Deus
caritas est di Benedetto XVI: «All’inizio
del cristianesimo non c’è una decisione
etica o una grande idea, bensì l’incontro
con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e
con ciò la decisione definitiva».
Un orizzonte nuovo, dunque, una decisione
definitiva è all’origine di questa
missione dove abbiamo imparato di
nuovo – ce ne eravamo dimenticati – cos’è
il cristianesimo: non progetti ideali,
ma la concreta bellezza di una vita nuova
sperimentabile subito, anche in mezzo
al male. La terra sin mal che gli indios
guaranì cercavano nella foresta tropicale
– e che proprio qui in Paraguay, tra il
1600 e il 1750, i gesuiti fecero loro incontrare
nell’esperienza delle antiche reducciones,
spazzate poi via dai Governi
portoghese e spagnolo – rivive oggi qui
nella parrocchia San Rafael.
Tutto nacque da un’intuizione di
don Luigi Giussani, fondatore con don
Massimo Camisasca della Fraternità
sacerdotale missionaria San Carlo Borromeo,
presente in oltre 20 Paesi al
mondo e di cui fanno parte Aldo, Paolino
ed Ettore. Incontrando 17 anni fa padre
Aldo, sacerdote canossiano in profonda
crisi, don Giussani gli affidò questo
compito: «Va’ in Paraguy e rifai
l’esperienza delle antiche reducciones
della Compagnia di Gesù».
Rinasce il popolo guaranì
Questa parola, compagnia, insieme all’altra,
bellezza (incontrata da padre Aldo
nell’arte gesuitica locale), è il segreto
delle opere sociali sorte come per miracolo
qui a San Rafael in pochissimi anni.
Se ne stupisce la stessa gente del posto
che volentieri aiuta la missione con
ogni mezzo, dal volontariato al sostegno
economico. Senza la Fraternità San
Carlo – in particolare l’amicizia con
don Massimo – padre Aldo sarebbe un uomo perennemente angosciato; i primi
anni, infatti, lo videro catapultato
qui a cercare affannosamente tra le rovine
delle reducciones (soffocate dalla foresta
tropicale) e la miseria delle favelas
cittadine quel filo di bellezza con cui poter
riannodare al presente il passato glorioso
del popolo guaranì.
Oggi quel popolo
è diventato il suo popolo e padre
Aldo, pure attraverso studi e pubblicazioni
apprezzatissime anche a livello locale,
sta riscrivendone la storia artisticoreligiosa.
Intanto, nella nuova foresta del degrado
urbano, l’asilo e la scuola elementare
raccolgono ogni giorno 150-200 bambini;
il poliambulatorio, con i suoi 25 medici
volontari, ha assistito in quattro anni
quasi 1.000 malati; il centro aiuto alla
vita e il banco alimentare sostengono
ogni mese un centinaio di famiglie. Nella
Granja Padre Pio, l’azienda agricola,
lavorano la terra e allevano il bestiame
ragazzi strappati al carcere minorile.
Un tabernacolo vivente
Nell’ospedale per malati terminali Casa
Divina Provvidenza san Riccardo
Pampuri, chi ha vissuto in una baracca,
nella povertà e nel disordine fisico e morale
si riconcilia con la vita, riceve i sacramenti,
si sposa; incontrando, almeno
prima di morire, un’esperienza di
umanità e tenerezza che – non è un paradosso
– lo riconcili con la vita.
Tre volte al giorno si snoda, cantando
tra i corridoi e le stanze, la processione
delle volontarie dietro il sacerdote che
benedice i malati con il Santissimo: il piccolo
ospedale diventa un tabernacolo vivente.
Tutte queste opere testimoniano
che è bello vivere il cristianesimo, che la
bellezza è possibile anche qui in uno tra
i Paesi più poveri e dimenticati della terra.
È questa bellezza che convince e attrae.
Impossibile elencare i nomi e le storie
dei tanti volontari incontrati. Riporto
solo la testimonianza di tre quindicenni
che assistono i malati terminali: «Torno
a casa felice» (Ettore); «in famiglia c’è
più ordine e armonia» (Andrea); «imparo
a trattare il mondo fuori come qui»
(Maria Pia). Sono molte le conversioni.
Basta poco per iniziare: uno spunto, un
pretesto; magari solo sapere che qui a
San Rafael c’è la Messa con l’aria condizionata.