È una Nota piena di amarezza quella che i vescovi calabresi hanno diffuso il 3 marzo dopo aver riflettuto sulle parole del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti circa il colpevole silenzio della Chiesa sul fenomeno mafioso. Denunciando il silenzio seguito all'uccisione di padre Pino Puglisi e di don Peppino Diana, Franco Roberti aveva dichiarato che «la Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie», ma «siamo dovuti arrivare al
2009 per iniziare a parlarne».
Parole, secondo la Conferenza episcopale calabra, che «fanno male perché denotano una lettura superficiale e una conoscenza approssimativa del pur faticoso forse a tratti lento ma in ogni caso ininterrotto cammino che proprio la Chiesa ha compiuto dal secondo dopoguerra a oggi, nella comprensione e nella trattazione del fenomeno mafioso e di cui proprio don Puglisi e, con lui tante altre figure di sacerdoti, sono testimonianza viva».
Non si sottraggono alle responsabilità, i presuli della Calabria, quando citano la loro recente Nota pastorale sulla 'ndrangheta, Testimoniare la verità del Vangelo, che recita: «Non sono mancate irresponsabili connivenze di pochi, nonché silenzi omertosi: e di questo i credenti sanno e vogliono chiedere perdono. Ma accanto alla gramigna, silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue, senza mezzi termini, per la sua luminosità e la sua coerenza. Un campo seminato dal lavoro capillare e feriale di pastori e di laici che, nella predicazione, nelle catechesi, nell'impegno sociale, hanno dissodato e coltivato il terreno perché cresca il buon grano. Nell'ultimo ventennio, c'è stato, un fiorire di iniziative ecclesiali, associative, culturali, che hanno recepito e tradotto le istanze evangeliche di liberazione della terra calabrese».
Richiamano la Lettera pastorale del 1948 firmata dai vescovi meridionali e il documento dell'episcopato calabro del 1975 "contro la mafia, disonorante piaga dela società", ma soprattutto le parole di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento (1993) sia di papa Benedetto a Lamezia (2011), il 21 giugno 2014 a Sibari e il 21 febbraio scorso a Roma. E si dicono pronti a fare la propria parte, così come devono fare lo Stato e le altre istituzioni «per sconfiggere il male».
Sulla strada indicata dal Papa «camminano le Chiese del Sud sia pure con i loro guai terreni, forse non sempre con la speditezza necessaria, magari in qualche caso zoppicando, ma convinte, senza riserve né sconti per nessuno. Certo, molto resta da fare. Il cammino verso il futuro, sia chiaro, è irreversibile! Anche sul piano pratico con le azioni per liberare la religiosità popolare dalle mire e dalle infiltrazioni delle mafie e con la costituzione di un corso di formazione per i seminaristi, preti del domani. Non aver considerato tutto ciò e tanto altro, lascia l'amaro nei cuori e non fa di certo progredire l'unità di intenti tra tutte le istituzioni e la Chiesa».