Chi almeno una volta non ha detto:
«Mi sono fatto persuaso», citando
il commissario Montalbano?
Lui che affascina e seduce,
diverte e conquista, lo stesso
che televisivamente ha trovato
la felice interpretazione di Luca Zingaretti
con il debutto nel 1999, ma che letterariamente
è nato cinque anni prima
con La forma dell’acqua dalla penna inconfondibile
di Andrea Camilleri.
Oggi Montalbano compie vent’anni.
Da dove nasce l’intuizione di un personaggio
così longevo?
«Il personaggio non doveva essere
così longevo... Nella mia mente sarebbe
dovuto durare solo un romanzo, La forma
dell’acqua. Alla fine, però, mi sono reso
conto che non ero riuscito a compierlo
e allora ho scritto un secondo romanzo,
Il cane di terracotta. E lì finiva per
me la serie. Ma questi due libri ebbero
un tale successo da costringere Elvira
Sellerio (l’editore, ndr) e me a scriverne
un terzo che io feci con molti dubbi,
perché pensavo di non avere il respiro
da scrittore tale da poter sostenere una
lunga serialità. Invece questa sorta di
miracolo è avvenuto. E siamo arrivati a
oltre venti romanzi di Montalbano».
E 15 milioni di copie vendute. Si
aspettava un successo del genere?
«Mai. È stato un successo superiore
a ogni aspettativa e continua a essere
un successo molto strano. Perché in pochi
sanno che quando esce un nuovo
romanzo di Montalbano tutti i romanzi
precedenti, quelli storici che non sono
di Montalbano, vengono rivenduti,
si rivitalizzano».
Quanto conta l’ambientazione, il contesto
del personaggio?
«Certo, la Sicilia ha un richiamo in
più. Ma la differenza vera è se la cosa è
scritta da un siciliano che conosce la sua
terra. Se l’avessi ambientato altrove credo
che non avrei raggiunto una certa verità
o verosimiglianza che, invece, mi è possibile
ambientandolo in Sicilia. Io non solo
conosco i luoghi; oggi uno può ambientare
un romanzo a New York senza esserci
stato, basta una di quelle meravigliose
guide che ci sono in vendita che ti dicono
addirittura se all’angolo c’è un tabaccaio.
Il problema non è l’ambientazione, ma
sapere come la pensano le persone che
abitano in quelle strade, come vivono, come
ragionano, che rapporti hanno tra di
loro. Questo io lo ignoro, mentre penso
di conoscere, per converso, come la pensano
i siciliani. Nel 99 per cento dei casi
sbaglio, ma l’1 per cento in cui indovino
basta per scrivere un romanzo!».
Tutto nasce dai suoi luoghi, da quelli
dell’infanzia. Cosa pensa della trasposizione
televisiva? Giacché i luoghi letterari
differiscono da quelli in Tv.
«La trasposizione televisiva ha spostato
a Est la Sicilia dell’Ovest; la Sicilia
del Montalbano letterario è una terra
arida, con lunghi spazi incolti, gialla
bruciata dal sole, cosa che non è in realtà
la ricca zona dell’Est con Marina di
Ragusa o Scicli e il meraviglioso barocco.
È un’ambientazione diversa dal mio
personaggio che, però, da un punto di
vista televisivo ha funzionato bene, più
che se fosse stata nei luoghi letterari».
La casa di Montalbano per esempio.
Dove l’aveva immaginata?
«Nella storia letteraria è nella solitudine
della spiaggia di Marinella, vicino
a Porto Empedocle. Se ci ripenso la
vedo come quella di trenta, quarant’anni
fa. Con due o tre villette abusive e distanti
tra di loro».
Qual è il luogo di quelli frequentati
da Montalbano a cui è più affezionato?
«La Scala dei Turchi, quella collina
di marmo bianca che scende verso il
mare e si trova tra Porto Empedocle e Licata.
Lì andavo sempre da ragazzo a fare
il bagno perché era irraggiungibile
via terra, ci si arrivava solo dalla spiaggia,
e dovevi fare due o tre chilometri a
piedi, per cui non era molto frequentato.
Oggi è tutto diverso, ma allora potevi
stare da solo o con qualche amico;
era davvero una delizia».