Sabato sera nella clinica romana dove era ricoverato è morto all’età di 80 anni il cardinale Attilio Nicora. Legato Pontificio per le Basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi, fu “l’inventore" del sistema dell'8 per mille. Nato a Varese il 16 marzo 1937, si era laureato in Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1959, era entrato in seminario nella diocesi di Milano ed era stato ordinato prete nel 1964. Paolo VI lo nomina, appena quarantenne, vescovo ausiliare della diocesi ambrosiana nell'aprile 1977. Per seguire da vicino la fase attuativa dei nuovi patti l'11 febbraio 1987 Nicora si trasferisce a Roma per lavorare alla Cei. Nell'ottobre 2002 Giovanni Paolo II lo chiama in Curia Romana come Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). L'anno successivo viene creato cardinale. Dal 2007 al febbraio 2013 è stato membro della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dello Ior. Nel gennaio 2011 Benedetto XVI lo nomina Presidente dell'Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) della Santa Sede. Pubblichiamo qui il ricordo del professore Riccardo Moro, economista ed esperto di questioni internazionali, che ha lavorato insieme al cardinale Nicora nella Campagna lanciata dalla Cei durante il Giubileo del 2000 per la cancellazione del debito dei paesi impoveriti.
Schivo, scrupoloso, fine. Misuratissimo nell’espressione e nello stesso tempo pronto al sorriso in modo trasparente. Straordinariamente rigoroso, con se stesso prima che con gli altri. E libero. Così era Attilio Nicora. Un uomo di grande e incontenibile libertà interiore, che gli derivava da una profonda fede.
Ho conosciuto mons. Nicora quando era responsabile dei rapporti con lo Stato italiano per la Conferenza episcopale italiana. Era una sorta di numero due dopo il presidente, ma in una posizione del tutto autonoma e indipendente, preceduto da una fama di grande autorevolezza che metteva molti in soggezione. Ero stato chiamato a occuparmi in occasione del Giubileo del 2000 della Campagna per la cancellazione del debito dei paesi impoveriti e la Cei aveva deciso che lui presiedesse il Comitato creato per guidare quell’iniziativa. Mi chiedevo come sarebbe stato lavorare con lui. Stavamo proponendo qualcosa di nuovo, cancellare i debiti. Io avevo l’incarico di spiegare le ragioni per la cancellazione e costruire il meccanismo con cui realizzarle. Era qualcosa di un po’ trasgressivo. Ci avrebbe capiti? Ci avrebbe sostenuto? Un amico vescovo, impertinente e dolce, per darmi un’idea del suo valore, mi disse: «Guarda, Nicora è così autorevole e stimato che se all’Assemblea della Cei propone un pellegrinaggio alla Mecca i vescovi si iscrivono!». Non sapevo se ridere o preoccuparmi. Scoprii un uomo di notevolissima intelligenza, di grandissima semplicità e di grande attenzione umana. Con lui lanciammo la campagna del debito che tanta risposta ebbe in tutto il paese e negoziammo la legge sul debito, che innovò in modo notevole la cooperazione internazionale italiana e ci diede prestigio internazionale. Furono anni intensissimi. Il suo consiglio era sempre attento ed essenziale. Come il suo stile di vita. Quando andammo a incontrare l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato per vedere gli ultimi dettagli della legge, arrivammo in via XX Settembre in metropolitana. In portineria ci aprirono il portone per fare entrare l’auto di rappresentanza e fecero proprio fatica a credere che fossimo arrivati a piedi. Esempi di questo tipo ce ne sarebbero tantissimi. Per le trasferte non accettava né chiedeva mai rimborsi.
Era stato il principale autore della riforma di quello che chiamiamo oggi otto per mille, che aveva dato ordine al disordinatissimo sistema delle “congrue” ereditato dall’epoca post-napoleonica. Pensava che con l’otto per mille ogni sacerdote avrebbe avuto il necessario per poter dedicare la sua vita integralmente al servizio senza ulteriori preoccupazioni e si amareggiava, e moltissimo, quando vedeva pastori più attenti al denaro che al gregge.
Lo stesso rigore mostrò in Vaticano, quando, responsabile del patrimonio della Santa Sede, testardamente lavorò per aprire le finanze vaticane e lo Ior, la banca vaticana, alla trasparenza e agli stessi sistemi di controllo del mondo bancario internazionale. Sappiamo quanto sgradevoli e tese siano state quelle vicende, che concorsero a indebolire la sua salute.
Il cardinale Attilio Nicora con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni durante il bilaterale Italia-Vaticano nell'anniversario dei Patti Lateranensi all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede il 4 febbraio 2017
Quando per i 25 anni di episcopato disse: «Faccio come Trilussa, prendo la strafottina ogni mattina»
È bello ricordarlo anche come educatore. Nei numerosissimi convegni sul debito e la globalizzazione, in cui in quegli anni inevitabilmente ci chiamavano, mandava avanti noi, allora giovani laici perché spiegassimo la posizione della chiesa italiana. Lui interveniva, e con autorevolezza, solo quando era davvero necessario. Non era di quei vescovi che amano le telecamere o che credono che educare significhi che l’educatore mostra quanto è bravo e l’educando deve imparare e imitare, ma solo domani. Mi è difficile parlare di lui senza rischiare di apparire retorico. E lui non lo avrebbe voluto. Ma davvero vorrei dirlo a tutti che è mancato un grande uomo. Di quelli che operano, cambiano, incidono. Di quelli che vivono il servizio in modo autentico e lo rendono fecondo, senza clamori e senza lodarsi. Ho iniziato parlando della sua libertà. Mi piace concludere ricordando quando celebrò i suoi 25 anni di ordinazione episcopale. In queste occasioni altri sono tentati, anche legittimamente, di riunire gli amici per una grande festa. Egli invitò, con il passaparola, chi avesse voluto partecipare a una messa alle 7.30 del mattino in una cappella nel parco della Domus Pacis a Roma. All’omelia raccontò qualcosa della sua vita, «come si costuma in queste occasioni», disse un po’ divertito. E poi concluse consigliando per tutti La ricetta maggica che aveva appreso da Trilussa. E lesse la poesia dell’irriverente poeta romano: “Dignità personale grammi ottanta, / sincerità corretta co’ la menta, / libertà condensata grammi trenta, / estratto depurato d’erba santa, / buonsenso, tolleranza e strafottina / (un cucchiaio a diggiuno ogni mattina)”. All’assemblea di amici e prelati che lo ascoltava ripeté sorridendo: “strafottina, un cucchiaio a diggiuno ogni mattina. Il mio segretario ed io ogni mattina prendiamo un cucchiaio di strafottina, e iniziamo la giornata”. Da quel giorno cerco di prenderla anch’io. Unita all’estratto depurato d’erba santa, a buonsenso e tolleranza. Grazie monsignore.