“Imploro la concordia tra i popoli”. Anche da Fatima papa Francesco grida alto il suo messaggio di pace. Ancora una volta tra i tratti distintivi del suo apostolato si riconferma il grande afflato irenico di questo pontefice. Le sue parole sulla “Terza Guerra Mondiale fatta a pezzi, a capitoli” e sulla liceità di “fermare l’aggressore” in Iraq hanno già fatto storia. Il suo pensiero contiene però elementi di novità anche se si inserisce nel solco dei suoi predecessori. La pace è un imperativo dei papi moderni. Basterebbe citare il discorso di Paolo VI sul diritto internazionale come "cammino obbligato della civiltà moderna e della pace mondiale", pronunciato al Palazzo di Vetro, che è del 1965. Per non parlare delle numerose encicliche, una per tutte la Pacem in terris di Giovanni XXIII.
“Papa Francesco”, ci spiega Flavio Lotti, presidente della Tavola della Pace e organizzatore della marcia Perugia-Assisi, “non è un pacifista in senso tradizionale. “Nella vulgata il pacifista è una persona che pone il tema quasi come chiodo fisso. Il pontefice argentino invece arriva alla pace partendo dalla dignità della persona, forse il cardine del suo apostolato. Arriva a dire che abbiamo bisogno di pace, che non dobbiamo arrenderci alla violenza, al traffico di armi. Ma lo afferma a partire non dall’idea di pace (che è una conseguenza) ma dal bisogno di riconoscere il diritto alla dignità e al rispetto dell’essere umano”.
Lotti si spinge a un paragone con Giovanni Paolo II. “A guardar bene ogni pontefice ha una declinazione diversa della pace. Se papa Wojtyla parlava di pace come qualcosa di contrario alla guerra, come al tempo dell’intervento anglo-americano in Iraq, Francesco parla di pace senza quasi mai nominarla. Questo papa è figlio della sua cultura e dunque parla principalmente dell’idea di giustizia (e quindi dalla dignità della persona) da cui deriva tutto, compresa la concordia dei popoli. Questa attenzione alla persona si percepisce non solo nei suoi documenti e nei suoi discorsi ma persino nel suo atteggiamento fisico. Ho avuto la fortuna e l’onore di stargli vicino durante l’udienza in Vaticano e quando gli ho parlato non c’è stato un istante in cui non mi abbia guardato negli occhi. Anche con i ragazzi è stato straordinario. Ha parlato a braccio, ha reso tutto più caldo e più autentico. Una vera lezione di vita per quei giovani”.
Ma c’è un altro tratto che caratterizza il pontificato di Francesco in senso pacifista. “Quella di Francesco è l’idea nuova di una pace attiva”, spiega Lotti, “una modalità di pace da anteporre allo stile pacioso di un certo pacifismo, accomodante, neutrale. Nei suoi scritti, nella Evangelii Gaudium, nei suoi discorsi, nei suoi incontri, vi è un costante richiamo alla necessità di azione”. Lo ha dimostrato in maniera chiara anche nell’incontro del sei maggio scorso in Vaticano con gli studenti che hanno partecipato al Meeting nazionale della scuola per la pace, la fraternità e il dialogo”, coordinato dallo stesso Lotti. Durante l’udienza in Aula Paolo VI, Francesco ha detto di vergognarsi che una bomba di dieci tonnellate di tritolo possa essere definita “la madre di tutte le bombe”, distorcendo l’essenza di madre, che genera vita. “La Evangelii Gaudium guarda lontano. Spiega che il tempo è superiore allo spazio, osservazione che spesso contrasta con il modo di vivere la vita, che è una continua occupazione di spazi invece di investire sulla generazione di processi virtuosi. In lui va colta anche una vera e propria rivoluzione del linguaggio. Francesco è stato diretto, concreto. Ha fornito numerosi esempi. Credo stia svolgendo una funzione pedagogica di ricostruzione della lettura della realtà. No si stanza mai nei suoi discorsi, come ha fatto a Pasqua, di enumerare le situazione di conflitto nel mondo, dalla Siria alla Nigeria. Francesco sta cercando di far capire al mondo che la violenza e la guerra non sono il modo di risolvere i problemi dell’umanità. Con una semplicità e al contempo una forza straordinaria”.