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lunedì 09 settembre 2024
 
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Il Papa: "Dobbiamo imparare a stare vicino a chi soffre"

26/01/2019  Nella via Crucis celebrata con 400 mila giovani papa Francesco ascolta le meditazioni che vanno dal tema dell'ambiente e della corruzione all'aborto, al terrorismo, all'ambiente. E poi esorta tutti a stare ai piedi della croce, come Maria, per favorire "una cultura capace di accogliere, proteggere, promuovere e integrare; che non stigmatizzi e meno ancora generalizzi con la più assurda e irresponsabile condanna di identificare ogni migrante come portatore di male sociale"

dal nostro inviato a Panama

La Cinta Costera si tinge di colori e bandiere. Sono 400 mila i giovani che, nel Campo Santa Maria La Antigua, dove il Papa ha aperto la Gmg, attendono Francesco per cominciare la via Crucis. Nella mattinata e nel pomeriggio anche loro si sono confessati, mentre Bergoglio ascoltava i ragazzi del carcere minorile di Pacora. «Non siete ospiti, ma anfitrioni», cioè convocati, spronano dal palco gli organizzatori chiamando a raccolta tutti i Continenti sulle orme di quel “congresso anfitrionico” che anche Francesco ha citato per ricordare la vocazione all’incontro di tutta Panama.

Il Papa saluta e introduce la via Crucis ricordando che «camminare con Gesù sarà sempre una grazia e un rischio. Una grazia perché ci impegniamo a vivere nella fede e a conoscerlo., entrando più a fondo nel suo cuore, comprendendo la forza della sua parola. Un rischio perché, in Gesù, le sue parole, i suoi gesti, le sue azioni, contrastano con lo spirito del mondo, con l’ambizione umana, con le proposte di una cultura dello scarto e dell’indifferenza».

La croce della Gmg passa di mano in mano, per ogni stazione un popolo se ne fa carico: gli honduregni che si soffermano sulla vocazione e il discernimento, i cubani che riflettono sul tema dell’unità e l’ecumenismo, i salvadoregni che mettono a fuoco quello della Chiesa dei martiri. E ancora, per ogni stazione della via Crucis, intercalati dall’esclamazione “Eccomi sono la serva del Signore”, si susseguono i guatemaltechi, legati al tema degli indigeni, i costaricani a quello dell’ecologia, i venezuelani a quello dei migranti e dei rifugiati, gli haitiani a quello delle vittime dei disastri naturali, i dominicani a quello della violenza contro le donne, i colombiani a qullo della riconciliazione e della pace, i portoricani a quello della corruzione, gli statunitensi al tema delle madri, i messicani a quello del terrorismo e degli assassinati, i nicaraguensi a quello dell’aborto. Quattordici Paesi per le quattordici stazioni al termine delle quali la croce si illumina mentre i ragazzi di Panama esclamano: «Siamo inviati alla missione».

 «Abbiamo accompagnato il tuo Figlio sulla via della croce», dice Francesco prendendo la parola al termine delle meditazioni, «quella via che ha voluto percorrere per mostrarci quanto Tu ci ami e quanto sei coinvolto nella nostra vita».

Una via, quella del Calvario verso la croce, fatta di «sofferenza e solitudine». Una via che continua anche oggi con i tanti che «soffrono per l’indifferenza soddisfatta e anestetizzante della nostra società che consuma e si consuma, che ignora e si ignora nel dolore dei suoi fratelli».

Una indifferenza che viene anche da «noi tuoi amici», dice Bergoglio, che ci «lasciamo prendere dall’apatia e dall’immobilismo. Non poche volte il conformismo ci ha sconfitto e paralizzato. È stato difficile riconoscerti nel fratello che soffre: abbiamo distolto lo sguardo, per non vedere; ci siamo rifugiati nel rumore, per non sentire; ci siamo tappati la bocca, per non gridare». Perché è più facile e «“paga di più” essere amici nella vittoria e nella gloria, nel successo e nell’applauso; è più facile stare vicino a chi è considerato popolare e vincente. Com’è facile cadere nella cultura del bullismo, delle molestie e dell’intimidazione!».

Ma il Papa ricorda che questa non è la logica di Gesù che, invece, nella croce si è «identificato con ogni sofferenza, con tutti quelli che si sentono dimenticati», che ha voluto «abbracciare tutti quelli che tante volte consideriamo indegni di un abbraccio, di una carezza, di una benedizione; o peggio ancora, nemmeno ci accorgiamo che ne hanno bisogno».

Nella via crucis il Signore si unisce ai dolori di ogni «giovane, di ogni situazione per trasformarla in via di risurrezione». E oggi la via Crucis di Gesù «si prolunga: nel grido soffocato dei bambini ai quali si impedisce di nascere e di tanti altri ai quali si nega il diritto di avere un’infanzia, una famiglia, un’educazione; che non possono giocare, cantare, sognare...; nelle donne maltrattate, sfruttate e abbandonate, spogliate e ignorate nella loro dignità;  negli occhi tristi dei giovani che si vedono strappar via le loro speranze di futuro dalla mancanza di educazione e di un lavoro degno; nell’angoscia di giovani volti, nostri amici, che cadono nelle reti di gente senza scrupoli – tra di loro si trovano anche persone che dicono di servirti, Signore –, reti di sfruttamento, di criminalità e di abuso, che mangiano sulla vita dei giovani».

Francesco ricorda i tanti «giovani e famiglie che, assorbite in una spirale di morte a causa della droga, dell’alcol, della prostituzione e della tratta, si trovano privati non solo del futuro ma del presente. E così come furono spartite le tue vesti, Signore, viene spartita e maltrattata la loro dignità».

E ancora, la via crucis «si prolunga nei giovani coi volti accigliati che hanno perso la capacità di sognare, di creare e inventare il domani e “vanno in pensione” con la pena della rassegnazione e del conformismo, una delle droghe più consumate nel nostro tempo», nel «dolore occulto, e che fa indignare, di quanti, invece di solidarietà, da parte di una società piena di abbondanza, trovano rifiuto, dolore e miseria, e per di più vengono indicati e trattati come portatori e responsabili di ogni male sociale».

Il Papa parla ancora dei «vecchi abbandonati e scartati», dei «popoli nativi, spogliati delle loro terre, di radici e cultura», del «grido di nostra madre terra, che è ferita nelle sue viscere dall’inquinamento dell’atmosfera, dalla sterilità dei suoi campi, dalla sporcizia delle sue acque, e che si vede calpestata dal disprezzo e dal consumo impazzito al di là di ogni ragione», di una «società che ha perso la capacità di piangere e di commuoversi di fronte al dolore». Gesù continua a farsi carico di queste sofferenze «mentre il mondo, indifferente, consuma il dramma della propria frivolezza».

Il Papa si chiede come «reagiamo di fronte a Gesù che soffre, cammina, emigra nel volto di tanti nostri amici, di tanti sconosciuti che abbiamo imparato a rendere invisibili» e se aiutiamo i più piccoli e indifesi a portare il peso della croce come fece il Cireneo con il Signore.

Si chiede anche se sappiamo stare ai piedi di Gesù come fece Maria. «Contempliamo Maria, donna forte. Da Lei vogliamo imparare a rimanere in piedi accanto alla croce. Con la sua stessa decisione e il suo coraggio, senza evasioni o miraggi. Ella seppe accompagnare il dolore di suo Figlio, tuo Figlio; sostenerlo con lo sguardo e proteggerlo con il cuore. Dolore che soffrì, ma che non la piegò. È stata la donna forte del “sì”, che sostiene e accompagna, protegge e abbraccia. Ella è la grande custode della speranza».

E da lei, come Chiesa, dobbiamo essere capaci di sostenere e accompagnare, di dire «sono qui!, nella vita e nelle croci di tanti cristi che camminano al nostro fianco».

Dobbiamo imparare, conclude Bergoglio, «a dire “sì” alla resistenza forte e costante di tante madri, tanti padri, nonni, che non smettono di sostenere e accompagnare i loro figli e nipoti quando sono “nei guai”.

Da lei impariamo a dire “sì” alla pazienza testarda e alla creatività di quelli che non si perdono d’animo e ricominciano da capo nelle situazioni in cui sembra che tutto sia perduto, cercando di creare spazi, ambienti familiari, centri di attenzione che siano una mano tesa nella difficoltà. In Maria impariamo la forza per dire “sì” a quelli che non hanno taciuto e non tacciono di fronte a una cultura del maltrattamento e dell’abuso, del discredito e dell’aggressione, e lavorano per offrire opportunità e condizioni di sicurezza e protezione. In Maria impariamo ad accogliere e ospitare tutti quelli che hanno sofferto l’abbandono, che hanno dovuto lasciare o perdere la loro terra, le radici, la famiglia e il lavoro. Come Maria vogliamo essere Chiesa che favorisce una cultura capace di accogliere, proteggere, promuovere e integrare; che non stigmatizzi e meno ancora generalizzi con la più assurda e irresponsabile condanna di identificare ogni migrante come portatore di male sociale».

Dobbiamo imparare a stare in piedi accanto alla croce, «non con un cuore blindato e chiuso, ma con un cuore che sappia accompagnare, che conosca la tenerezza e la devozione; che sia esperto di pietà trattando con rispetto, delicatezza e comprensione». Chiedendo al Signore di insegnarci «a stare ai piedi della croce, ai piedi delle croci», di aprire «questa sera i nostri occhi, il nostro cuore», di «riscattaci dalla paralisi e dalla confusione, dalla paura e dalla disperazione. Insegnaci a dire: sono qui insieme al tuo Figlio, insieme a Maria e a tanti discepoli amati che desiderano accogliere il tuo Regno nel loro cuore».

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