All’attenzione del Santo Padre. Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia di una sua visita, prevista per il mese di marzo 2021, nelle martoriate terre irachene, quelle terre percorse tutt’oggi da venti di guerra e da violenze indicibili che hanno mandato in frantumi comunità multietniche e multi confessionali, creando fratture profonde nella millenaria storia di convivenza mediorientale. Abbiamo appreso che il suo viaggio avrà come prima meta la città di Erbil, capitale della regione del Kurdistan iracheno dove è presente anche un’importante comunità cristiana nel quartiere di Ankawa, toccherà poi Baghdad, la capitale dell’Iraq, e la città di Mosul, rimasta tristemente nota come la capitale del califfato dell’Isis, ma anche per le persecuzioni contro i cristiani di Qaraqosh, antico insediamento assiro, un tempo il più grande centro della cristianità in Iraq.
Quelle terre non possono non farci ricordare la figura di padre Dall’Oglio, esule a Suleymanya, poi rapito o ucciso in Siria. Santità, noi le chiediamo che, oltre a incontrare queste comunità, nell’ambito di un discorso umanitario e di pacificazione, ci sia la possibilità di incontrare anche i profughi del campo di Makhmour, nella provincia di Mosul, e le comunità yazide di Sinjar, nell’Iraq nord occidentale, al confine con la Siria.
LA SITUAZIONE DRAMMATICA DEL CAMPO PROFUGHI DI MAKHMOUR IN IRAQ
Nel campo profughi di Makhmour vivono oggi 14.000 profughi provenienti dalla regione del Botan, dove l’esercito turco, negli anni ‘90, aveva evacuato con la forza i villaggi di confine, abitati da contadini e pastori, accusati di aiutare i militanti del Pkk. Questi profughi avevano attraversato le montagne coperte di neve che separano la Turchia dall’Iraq giungendo nella piana di Ninive. In quella traversata morirono 300 persone e circa 600 rimasero ferite da bombe, gelo e mine. Costretti a cambiare per nove volte destinazione, si sono infine accampati in pieno deserto, in un luogo allora denominato "valle della morte"; in questo luogo hanno incominciato a vivere, piantando alberi, dissodando terreni, allevando bestiame, aprendo scuole e cooperative.
Oggi, Makhmour è una comunità autogestita, caratterizzata da una forte democrazia dal basso e di genere. Pur tuttavia, i problemi del campo non sono finiti: abbandonata dall’Unhcr, la comunità è sotto embargo dal 2019. Inoltre, i droni turchi hanno bombardato il campo più volte e l’Isis ha fatto frequenti incursioni armate uccidendo e seminando il terrore tra la popolazione. A questo si è aggiunta recentemente la pandemia da Coronavirus che ha già mietuto le prime vittime.
IL CALVARIO DI SINJAR
Sinjar è stata teatro di scontri violentissimi tra l’Isis e le minoranze etniche e religiose presenti nell’area, in particolare quella dei kurdi yazidi, vittime di un vero e proprio genocidio. Gli uomini e gli anziani sono stati trucidati in massa, mentre donne e bambine sono state ridotte a schiave del sesso e vendute sui mercati di Mosul e Raqqa per cifre tra i 5 e i 20 dollari, mentre i ragazzini sono stati arruolati e indottrinati dai miliziani islamisti come bambini-soldato. La città, dopo diversi tentativi, è stata riconquistata dai peshmerga e dal Pkk il 13 novembre 2015.
Negli anni successivi, sono state rinvenute numerose fosse comuni, piene di corpi con le teste forate dai proiettili sparati alla nuca delle vittime. Nel 2018, un’attivista yazida, Nadia Murad, è stata insignita del Premio Nobel per la pace, dopo essere stata rapita e resa schiava sessuale dai miliziani dell’Isis. Oggi purtroppo, il mondo sembra essersi scordato dei massacri subiti dagli abitanti del campo profughi di Makhmour e di Sinjar. Noi, firmatari di questa lettera aperta. Le rivolgiamo un accorato appello affinché il grido sofferente di queste comunità non resti inascoltato. Le chiediamo di prestare ascolto, nel corso del suo viaggio pastorale in Iraq, alle sofferenze di queste popolazioni, visitando le loro povere comunità, e comunque rivolgendo anche a loro un messaggio di pace, di serenità e di speranza nel futuro. Grazie!
SEGUONO LE FIRME DI OLTRE 250 PERSONE
La risposta di don Antonio Rizzolo
Questa lettera aperta, diffusa da Antonio Olivieri, ha raccolto oltre 250 firme ed è stata consegnata a papa Francesco nei giorni scorsi. Quello che in sostanza si chiede è che il Papa, nella sua visita pastorale in Iraq prevista dal 5 all’8 marzo, possa andare anche nel campo profughi di Makhmour e presso la comunità yazida di Sinjar, realtà continuamente sotto attacco da parte delle milizie armate presenti nella regione e bombardate da droni turchi. C’è anche un feroce embargo del campo di Makhmour, che perdura dall’agosto 2019. Pubblico questa lettera non tanto per sollecitare il Santo Padre, che è già stato informato e valuterà come agire per il meglio, ma per condividere con voi lettori il dramma delle persone coinvolte. Devo confessare che anche solo leggendo dei soprusi e delle violenze raccontate in questo appello mi sono venuti i brividi. E mi sono chiesto come è possibile che degli esseri umani possano giungere a tanto. Eppure so bene che nella storia questo è sempre avvenuto e purtroppo continua a succedere in diverse parti del mondo. Non dobbiamo però arrenderci alla logica della guerra, della vendetta, della sopraffazione, dell’odio. E sono certo che il Papa si farà comunque portatore di un messaggio di pace, di speranza, di rinascita dalle ceneri del male.
PAPA FRANCESCO E LA TRAGEDIA DEL MEDIO ORIENTE: IL MESSAGGIO URBI ET ORBI DI NATALE E IL DISCORSO AL CORPO DIPLOMATICO
Aggiungo solo due brevi riferimenti a recenti interventi di Francesco. Il primo si trova nel messaggio Urbi et Orbi pronunciato il giorno di Natale: «Gesù Bambino risani le ferite dell’amato popolo siriano, che da ormai un decennio è stremato dalla guerra e dalle sue conseguenze, ulteriormente aggravate dalla pandemia. Porti conforto al popolo iracheno e a tutti coloro che sono impegnati nel cammino della riconciliazione, in particolare agli yazidi, duramente colpiti dagli ultimi anni di guerra. Rechi pace alla Libia e consenta che la nuova fase dei negoziati in corso porti alla fine di ogni forma di ostilità nel Paese». Da notare il ricordo esplicito degli yazidi.
Il secondo intervento si trova nel recente, bellissimo, discorso ai membri del Corpo diplomatico, l’8 febbraio scorso. Tra le altre cose il Papa ha ricordato che «in diversi casi le crisi umanitarie sono aggravate dalle sanzioni economiche, le quali, il più delle volte, finiscono per ripercuotersi principalmente sulle fasce più deboli della popolazione, anziché sui responsabili politici». Di conseguenza, ha detto, «pur comprendendo la logica delle sanzioni, la Santa Sede non ne vede l’efficacia e auspica un loro allentamento, anche per favorire il flusso di aiuti umanitari, innanzitutto di medicinali e di strumenti sanitari, oltremodo necessari in questo tempo di pandemia».
(foto in alto: Ansa)