La istituì san Giovanni Paolo II 25 anni fa. La Giornata mondiale del malato si celebra l’11 febbraio di ogni anno, festa della Madonna di Lourdes, santuario che Wojtyla definì «luogo e simbolo di speranza e di grazia ». Da dove viene tutta questa speranza di fronte a uno spettacolo così desolante come la sfilata di centinaia e a volte migliaia di sedie a rotelle in processioni interminabili? Come ha ragione il noto romanzo di Saint-Exupéry, Il Piccolo principe, quando afferma che «l’essenziale è invisibile agli occhi»!
Chi ha il coraggio di fare un viaggio a Lourdes con cuore libero e sincero può sperimentare il vero miracolo di quel posto: la compassione. Non mi riferisco a quello che volgarmente si intende per compassione nel parlare comune, disprezzando o manifestando sentimenti di resa verso chi soffre o ha disabilità gravi o vive drammi in famiglia, ma di quella vicinanza empatica con la persona malata capace di rendere la vita dell’infermo più sopportabile e persino le cure mediche più efficaci. Infatti, al di là di chi va a Lourdes per chiedere il miracolo della guarigione fisica (domanda sdoganata come lecita anche da Gesù nel Vangelo), in quel luogo si può fare l’esperienza più vera della Chiesa, dove il ritmo non è dato dai potenti e “superdotati” o dal profitto, ma dagli ultimi, dai più fragili. Tutto questo rende la società meno crudele e disumana e riconosce, nella concretezza, la dignità della persona umana.
Quando il Papa polacco ha istituito la Giornata mondiale del malato non ha certamente pensato a un evento annuale nel quale piangere insieme la disgrazia di essere stati colpiti dalla malattia, ma ha voluto scuotere la comunità civile e cristiana sul dovere della cura delle persone fragili e malate, con competenza, umanità e, non da ultimo, con senso, quello ricercato da lui stesso otto anni prima quando ha raccontato la sua esperienza di sofferenza nella lettera Salvifici doloris. Per questo la Giornata mondiale del malato non può ridursi a una Messa ma deve essere l’occasione perché si collochi tra le priorità del comune vivere l’attenzione ai malati e a quanti se ne prendono cura, nonché la promozione della cultura della vita e della cura. Nel Messaggio per l’occasione, quest’anno papa Francesco ha scritto: «Ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi, come i portatori di disabilità anche gravissime, hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così».
Ritengo che questo passo sia centrale, anche in considerazione del momento storico–culturale che stiamo vivendo: come dire, quando si tratta di malati «bilanci e scomodità» non possono essere gli unici parametri di misura e il corpo di un uomo steso nel letto, come Cristo steso sulla croce, non modifica la sua inalienabile dignità.
Sono indicazioni preziose, queste, anche per il nostro Paese che si sta confrontando sul tema del fine vita e sulle cure alle persone morenti. Facciamo nostro l’auspicio del Papa «di saperci sempre relazionare al malato come a una persona che, certamente, ha bisogno di aiuto, a volte anche per le cose più elementari, ma che porta in sé il suo dono da condividere con gli altri».
Con ragione, poi, il Papa richiama le sfide presenti in ambito sanitario e tecnologico. Il moltiplicarsi della tecnica applicata alla cura è una risorsa a doppia valenza: se da un lato essa è utile e necessaria, dall’altra può allontanare gli operatori dai malati e magari, tutelati da procedure a volte ambigue, può diventare ostacolo per un rapporto medico-paziente che accompagni l’atto tecnico con la relazione di cura. L’auspicio del Santo Padre è che «in occasione della Giornata mondiale del malato possiamo trovare nuovo slancio per contribuire alla diffusione di una cultura rispettosa della vita, della salute e dell’ambiente; un rinnovato impulso a lottare per il rispetto dell’integralità e della dignità delle persone, anche attraverso un corretto approccio alle questioni bioetiche, alla tutela dei più deboli e alla cura dell’ambiente».
don Carmine Arice