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lunedì 12 maggio 2025
 
 

Vietnam, Natale di frontiera

25/12/2011  Il 2011 è stato un anno di progressi per i cattolici del Vietnam. Schierata con i contadini e i malati, la Chiesa deve però ancora affrontare la diffidenza del regime.

Ho Chi Minh City. Ufficialmente è ancora uno degli ultimi Paesi “comunisti” del mondo. Ma il Vietnam - come il suo grande vicino, la Cina - si è convertito da tempo alla religione del libero mercato e dell'arricchimento ad ogni costo.


     E così, come qui da noi, anche le strade e i negozi del centro di Ho Chi Minh City (l'antica Saigon) si riempiono di decorazioni e scritte luminose che augurano ai sempre più numerosi turisti occidentali Buone Feste e Felice Anno Nuovo. Tutta la città partecipa: i motorini che a migliaia e migliaia riempiono le strade della città, la notte di Natale convergono verso la piazza di fronte alla grande Cattedrale costruita dai francesi, dove i giovani – non solo quelli cattolici – si riuniscono per festeggiare per tutta la notte.

     Ma per la minoranza cattolica del Vietnam – meno del 10% della popolazione del Paese – il Natale è una festa profondamente sentita e vissuta. Nei cortili delle parrocchie i mercatini con le decorazioni natalizie propongono presepi e addobbi in stile occidentale, accanto a decorazioni più tradizionali, come le grandi stelle di carta colorata da appendere in strada di fronte alle case: ognuno vuole far partecipare i vicini alla propria gioia.

     I cattolici del Vietnam – sopratutto quello del ricco Sud, con al centro Saigon – assaporano da qualche anno una libertà che avevano dimenticato da tempo. Precisamente dal 1975, l'anno in cui le truppe del Nord comunista, guidate dal generale Ho Chi Minh, conquistarono la città. Seguirono anni di repressione e di isolamento per la Chiesa del Paese, tagliata fuori dal mondo e sottoposto al controllo asfissiante della polizia segreta. Tra i tanti che ne fecero le spese, il vescovo ausiliare di Saigon François Xavier Nguyên Van Thuân, messo in carcere per 13 anni e fatto cardinale da Giovanni Paolo II dopo la sua liberazione. Ancora oggi, il suo nome in Vietnam è quasi un tabù, e nessuno – anche tra i cattolici - ne parla volentieri.

     Ma il 2011 che si sta per concludere, per i cattolici del Vietnam è stato un anno ricco di novità e di passi avanti. Si è aperto con la nomina, a gennaio, del primo rappresentante diplomatico vaticano dalla rottura delle relazioni con il Vaticano, durante la guerra. Monsignor Leopoldo Girelli, anche se residente non permanente, ha visitato più volte il Paese in questi mesi e portato, per la prima volta in decenni, il saluto del papa alla Chiesa. E si è concluso con il primo sinodo diocesano di Saigon dal 1975, un grande evento aperto a tutta la città.

     Certo, spiega l'arcivescovo della città, il cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Mân, “non abbiamo ancora il diritto di essere liberi, la nostra è una libertà vigilata e controllata”. Ma la situazione è migliorata nettamente negli ultimi anni: i preti sono liberi di muoversi nel Paese e i seminari accolgono tutti coloro che hanno una vocazione senza il veto del Partito Comunista (e sono tanti, solo a Saigon il Seminario è pieno e sono oltre 250 gli aspiranti seminaristi).

Anche se la Chiesa in Vietnam negli ultimi anni è più libera, il cammino da fare è ancora lungo. La principale questione aperta con il Governo è quella della restituzione delle proprietà della Chiesa confiscate al termine del conflitto che ha portato alla riunificazione del Paese: migliaia di edifici - spesso di grande valore, come l'antica nunziatura vaticana da Hanoi, la capitale - che adesso sono in mano allo Stato.


     Non è solo una questione dei beni della Chiesa: man mano che il Vietnam diventa più ricco, migliaia di contadini poveri si vedono espropriare le terre per far spazio a nuovi quartieri o industrie. Non si possono opporre in un Paese in cui ufficialmente non esiste la proprietà privata. Così gli ordini religiosi – come i Redentoristi – che si battono per la restituzione delle terre della Chiesa, danno voce anche a loro. 

     La loro è una protesta disarmata: veglie silenziose di preghiera, ad Hanoi e a Saigon, a cui partecipano ogni volta migliaia di fedeli. Ma la vera sfida, dice il segretario generale di Caritas Vietnam, il salesiano Vincent Ngoc Dong, è riconquistare la libertà della Chiesa di operare nel campo della sanità e dell'educazione. Oggi ufficialmente la Chiesa non può gestire scuole e ospedali, salvo piccole eccezioni. Eppure, in questi campi, lo Stato e il Partito Comunista hanno un disperato bisogno dell'aiuto dei cattolici perché quella vietnamita, spiega padre Ngoc, “è una società che sta cadendo a pezzi”: colpa del “consumismo” e del “materialismo”, unito a decenni di “rifiuto di Dio”.

     Il regime sa che questi “mali sociali” - come vengono chiamati nella retorica ufficiale – sono un pericolo per il Paese e per la sua stessa sopravvivenza. Ma ha paura ad aprire veramente le porte alla Chiesa e chiedere il suo aiuto. Ci sono però delle eccezioni, come nel caso dell'epidemia di Aids, che si è diffusa insieme alle droghe negli anni  '90, colpendo il regime di sorpresa. La reazione ufficiale – nascondere il problema mandando i tossicodipendenti in centri di "rieducazione" lontani dalle città – ha peggiorato le cose. Il pregiudizio nei confronti dei sieropositivi era così forte che questi spesso venivano allontanati dagli ospedali quando avevano bisogno di cure.

     La Chiesa ha iniziato ad aprire ambulatori gratuiti per le cure dei malati di Aids. Uno di questi – gestito dal padre camilliano John Toai – da solo cura 2.000 pazienti la settimana, che arrivano da tutta Saigon. Dal 2007, è la prima struttura sanitaria cattolica ad aver ricevuto il riconoscimento ufficiale del Governo. “Siamo un buon esempio – dice padre Toai – ma il regime ha paura e non vuole permettere alla gente di entrare più in contatto con la religione”.

Una piccola città nel cuore della città: è questo il Centro Pastorale dell'arcidiocesi di Ho Chi Minh City, una grande struttura che è anche il simbolo della lenta rinascita della Chiesa in questo Paese comunista. Il centro sorge in una struttura confiscata dallo Stato dopo la fine della guerra e la riunificazione sotto il regime comunista, nel 1975.


     Negli ultimi anni, però, con il progressivo allentarsi dei controlli e delle restrizioni all'attività della Chiesa, alcune delle proprietà sequestrate sono state restituite. Tra queste, anche il terreno su cui oggi sorge il Centro Pastorale, inaugurato con una grande festa nel 2008. Al suo interno, accanto alla chiesa di San Giuseppe e al Seminario Maggiore, sorgono gli uffici delle varie commissioni pastorali e il museo diocesano. Qui, ogni settimana, circa 200 persone seguono il corso di due anni per diventare catechisti.

     La secolarizzazione, spiega infatti padre Louis Thuan, responsabile della pastorale famigliare e vicerettore del Seminario, si comincia a far sentire pesantemente anche in Vietnam. “Il tasso di divorzi, anche tra i cattolici, è del 30-40% dopo dieci anni di matrimonio” e se il numero delle vocazioni per ora rimane alto – circa 60-70 ogni anno, per un totale di 160 seminaristi e 250 studenti in attesa di essere ammessi – “con una media di uno o massimo due figli per famiglia, probabilmente anche queste diminuiranno rapidamente in futuro”.

     È per questo che la Chiesa in Vietnam ha deciso di puntare tutto sulla formazione dei laici e sul rafforzamento dell'identità cattolica all'interno della comunità. Anche il Sinodo diocesano di Saigon – il primo dalla fine della guerra – è stato dedicato al “Rinnovamento per la Comunione e la realizzazione della Missione”. Hanno partecipato circa 200 persone dal 21 al 26 novembre, per parlare di ecologia, dialogo interreligioso e del ruolo della Chiesa in una società che cambia troppo in fretta. “È stato un'occasione senza precedenti per confrontarsi con franchezza, e per permettere ai laici di dire la loro”, racconta padre Ngoc Dong, che non nasconde come nella Chiesa vietnamita la distanza tra i fedeli e i preti sia, in alcuni casi, ancora “troppo grande”.

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