Gli vogliono bene in tanti, familiari e amici. Ma qualcuno si prende il diritto di decidere che la sua vita è inutile e che "vada aiutato" con la morte. Una pena di morte non meritata, ma che alcuni si arrogano il diritto di stabilire. Lui è Vincent che per vivere ha bisogno dell'aiuto degli altri, di essere nutrito, idratato e assistito. Da solo, senza ausili tecnici e interventi umani non ce la farebbe e quindi, qualcuno sostiene, "così non vale la pena di vivere..." e anche "la sua non è più vita..." Peccato che i suoi genitori e i suoi amici non la pensino così e come loro tanti sostenitori non solo om Francia dove vive (almeno sino a quando glielo permetteranno...)
"La vita di Vincent Lambert è certamente difficile: è tetraplegico, è ricoverato dal 2008 in un ospedale, viene nutrito con un sondino, deve essere idratato, e ha bisogno di assistenza continua. Ma questa vita continua, proprio grazie alle cure che gli vengono offerte, sia dal servizio sanitario pubblico, sia da parenti ed amici", commenta Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. "Eppure oggi la vita di Vincent è appesa ad un filo: diversi tribunali francesi ed europei, su richiesta della moglie, intendono autorizzare la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale, decretando così la sua morte per interruzione dei trattamenti. Una vicenda che ci riporta con la memoria a quella di Eluana Englaro che tanto ha segnato la nostra società. La notizia di Vincent ci pare davvero triste, perché denuncia una resa incomprensibile: si arrende in primo luogo la moglie, che chiede di interrompere l’assistenza; si arrende lo Stato, che rinuncia a difendere una persona fragile; si arrende il diritto, sia francese che europeo, che anziché difendere la vita come valore assoluto, la subordina a riflessioni e scelte che di fatto rendono una vita, quella di Vincent, “meno vita” rispetto a quella di chi si muove, respira, è autonomo, e di chi può difendersi e rappresentarsi. Altri decidono sul futuro di Vincent: anzi, addirittura sul fatto che la sua sia ancora vita".
Ma se in altri casi, come in quello Englaro in cui il padre si battè per l'interruzione delle cure, in questo i genitori chiedono che la sua vita non venga interrotta. "I genitori non si sono arresi, e sono molti suoi amici, addirittura costituitisi in associazione, che non accettano di lasciar morire una persona solo perché è costretta a letto, non può parlare, ha bisogno di aiuto, e forse non è in grado di pensare o percepire quello che succede attorno a sé, ma chi può esserne sicuro al cento per cento?"
Come è accaduto in altri casi parlare di accanimento terapeutico è lontano dalla realtà perché "quello che i tribunali francesi vogliono obbligare ad interrompere non sono trattamenti sanitari, ma sono proprio “cibo e acqua”, quello che a nessun essere umano può mai essere negato: neanche ai condannati a morte, un minuto prima di eseguire una folle sentenza di omicidio legalizzato", commenta Belletti. "Niente accanimento terapeutico in gioco, quindi, nella vicenda di Vincent. Questo è chiarissimo. Ma una evidente contraddizione: siamo contro la pena di morte, omicidio statale presente in tanti Paesi totalitari, ma anche in alcuni degli ipermoderni Stati USA, ma non riusciamo a capire – non vogliamo riconoscere la realtà, più precisamente - che interrompere alimentazione e idratazione per Vincent significa la sua condanna a morte. Magari la si può chiamare “bella morte” (eutanasia proprio questo vuole dire, un bell’esempio di anti-lingua), ma sempre di decisione di morte si tratta".
Sono in molti, del resto, ad essere convinti che lasciar morire, perché è di questo che si tratta, Vincent sarebbe una sconfitta di tutti. Commenta infatti Francesco Belletti: "Dispiace questa resa della speranza e della responsabilità della cura: è sicuramente una società più crudele e più triste, quella che non accetta fino in fondo la sfida della cura per tutti, anche per chi resterà immobile a letto. Ed è una ben triste “pietas” quella che elimina chi è sofferente e bisognoso di aiuto. Ci si sente impotenti, davanti alla cieca arroganza di certe decisioni pubbliche: davvero di fronte ad una situazione così complessa, vogliamo lasciare che lo Stato possa imporre la propria idea di vita e di morte, anziché preferire di proteggere la vita, anche se difficile, fragile, costosa? Che umanità futura si sta costruendo, così? Vogliamo una società dove qualcuno può decidere se la vita di un altro è degna di essere vissuta, o vogliamo una società in cui la vita è il valore supremo, da difendere e tutelare ad ogni costo? I genitori e gli amici di Vincent hanno scelto questa seconda idea: noi siamo con loro".