Il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore Maggiore dell’Aeronautica (2006-2008) e Capo di Stato Maggiore della Difesa (2008-2011), oggi è vicepresidente dello IAI (istituto Affari Internazionali). Nei suoi ragionamenti sulla situazione in Libia troviamo la competenza del militare e la lucidità di analisi dell’esperto di geopolitica.
Generale Camporini, qual è l’utilità dei bombardamenti americani in Libia?
“C’è una utilità sia militare che politica. Da un punto di vista puramente tattico, i raid aerei sono assolutamente razionali. Perché dopo l’avanzata iniziale verso Sirte delle truppe libiche fedeli al primo ministro al Sarraj si era arrivati a una situazione di stallo. È l’incubo di tutti i comandanti di operazioni terrestri, cioè la guerra urbana, casa per casa, dove qualsiasi muretto o finestra diventa un ostacolo insormontabile. Infatti il numero delle perdite si è alzato in modo inaccettabile. Si parla di 350 caduti e di oltre 2 mila feriti. Si tratta di almeno il 10 per cento della forza impiegata, un costo umano troppo alto”.
Quindi serve l’aviazione?
“Esatto. In questa modo, tramite i sistemi di ricognizione satellitari, abbiamo una perfetta conoscenza della situazione sul terreno e la capacità di colpire con estrema precisione i luoghi dove si annida la resistenza. La situazione di stallo della guerra urbana viene superata”.
Qual è invece l’utilità politica dell’intervento americano?
“Al Sarraj aveva due scelte. O impegnarsi nella guerra di logoramento a Sirte oppure richiedere l’aiuto degli occidentali, correndo però il rischio di essere accusato di collusione con le potenze straniere. Chiedendo l’intervento degli americani, a mio avviso al Sarraj ha fatto la scelta giusta. Infatti egli ha la necessità di affermarsi come l’uomo forte della Libia a discapito del generale Haftar, il quale si trova isolato a Bengasi nonostante il sostegno dell’Egitto, degli Emirati Arabi e della Francia. Chiedendo lui stesso l’intervento straniero, senza subirlo, al Sarraj si pone in una posizione di forza rispetto al suo rivale e potrebbe coagulare intorno a sé il consenso di cui ha bisogno”.
La presenza dei jihadisti di ISIS in Libia subirà un colpo decisivo?
“Io sono sempre stato molto scettico sulle reali capacità del Califfato in Libia. Non c’è una forza autoctona del califfato, solo una sorta di franchising voluto dai seguaci di Gheddafi che, esclusi dal gioco politico all’indomani della caduta del leader, in questo modo hanno riconquistato voce in capitolo attirando un certo numero di combattenti, soprattutto tunisini e marocchini. Ma ISIS non può radicarsi perché la società libica non ha nessuna voglia di legarsi le mani con un radicalismo che le è sempre stato estraneo. In Libia il problema del Califfato è davvero secondario, quello che conta è rimettere insieme i cocci di questo Paese”.
La disponibilità dell’Italia a fornire all’aviazione americana l’uso delle nostre basi rende il nostro Paese più esposto a rappresaglie?
“Non credo proprio che l’Italia sia più esposta ad attacchi terroristici. Ricordiamo, anche se lo si dice sottovoce, che l’Italia sta dando un importante contributo nella coalizione anti ISIS in Iraq. Siamo presenti con un grande numero di addestratori e abbiamo velivoli che fanno azioni di ricognizione. È vero che i nostri aerei non sganciano bombe, ma i bombardieri le sganciano sugli obiettivi indicati dai nostri ricognitori. Io, che vengo dall’Aeronautica, ero un ricognitore e sapevo che se non passavo io a indicare l’obiettivo, i bombardieri non andavano da nessuna parte. Il nostro impegno militare c’è già a prescindere dalla Libia e il capo dell’Isis al-Baghdadi lo sa benissimo, anche se se ne parla poco sui nostri giornali”.
Ritiene sufficienti le spiegazioni date al Parlamento sul possibile uso delle nostre basi da parte degli americani?
“Direi proprio di sì. Le comunicazioni al Parlamento sono state chiare e non avverto nessuno strappo istituzionale, anzi vedo una grandissima trasparenza. Fra l’altro, penso che forse gli americani neppure avranno bisogno di usare le basi sul nostro territorio”.
Oggi si bombarda, ma secondo lei si sta pensando anche al dopo, al futuro della Libia?
“Questi bombardamenti vengono a valle di tutta un’attività politica che si sta facendo, soprattutto da parte italiana. Ci sono rapporti intensi con al Sarraj e gli uomini del suo governo. Non dimentichiamo che all’ospedale militare del Celio stiamo curando alcuni feriti libici delle battaglie in corso, insomma c’è un’ampia volontà italiana di garantire la rinascita della Libia. I francesi si sono bruciati con il sostegno ad Haftar, gli inglesi hanno altro a cui pensare, chi altro meglio di noi può aiutare la Libia?”.