Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 17 marzo 2025
 
Diritto
 

Violenza e attenuanti, una sentenza che fa discutere

26/09/2014  La Cassazione applica le attenuanti su una violenza sessuale di un marito su una moglie. Non tocca a noi stabilire se la decisione sia giusta o sbagliata, ma c'è il rischio di effetti collaterali sulla mentalità corrente: e se passasse il messaggio che la violenza non sia grave in sé?

Il caso è noto: un marito accusato di violenza sessuale, sotto l'influsso dell'alcol, nei confronti della moglie; la Cassazione che applica le attenuanti per la "quantità di violenza"; il dibattito che inevitabilmente si apre.

Il diritto è diritto: ha le sue regole e i suoi riti. Il senso comune non sempre basta a capirne le procedure, che talvolta con il senso comune possono sembrare in contrasto: una sentenza della Cassazione, dove si giudica di come sono applicate le procedure, è diritto “al cubo”.

Questo per dire che può accadere, e non è scandaloso in sé, che i suoi codici non siano sempre sovrapponibili ai nostri e che non siamo noi, uomini della strada, a poter dire se una sentenza della Cassazione sia, in punto di diritto, giusta o sbagliata. Nemmeno quando decide di violenza sessuale e ci dà l’impressione di offrire un grimaldello a mariti violenti e non sempre sobri. 

Resta un però: il diritto vive nel mondo, appartiene a un tempo e a un luogo – il nostro -  e il rispetto per una sentenza non ci può impedire di riflettere sugli effetti che il suo messaggio implicito può avere sul mondo che abitiamo.

Il diritto penale in un Paese democratico moderno non esaurisce la sua funzione nel punire chi ha sbagliato, nel retribuire il male arbitrario del colpevole con quello necessario della pena, ma ha il compito di proteggere la comunità anche con effetto deterrente: far capire a tutti che certe cose non si fanno e che chi le fa ne subisce le conseguenze. Soprattutto in virtù di questo compito di prevenzione, secondo molti studiosi, trova legittimità il potere che uno Stato ha di usare la forza, di privare una persona della propria libertà perché ha violato le regole. 

In un Paese in cui nei rapporti tra uomini e donne la mentalità corrente delle persone fa ancora fatica ad andar dietro alle leggi, che hanno abolito i delitti d’onore appena trent’anni fa e in cui la violenza sessuale è reato contro la persona da appena 18 anni, esiste il rischio che una sentenza come questa faccia fare – di certo senza volerlo ­­e magari con la complicità di una comunicazione emotiva - alla cultura del reciproco rispetto il passo del gambero.

Nessun giudice si sognerebbe di sostenerlo, ma qualche uomo, senza andare per il sottile, potrebbe sentirsi legittimato a concludere che prendersi con la forza, contro la sua volontà, la propria moglie dopo aver bevuto sia meno grave che farlo con una sconosciuta per la strada e che, comunque, – nei confronti di qualunque donna - l’atto in sé non sia poi così grave. E magari potrebbe pure dirsi che, le volte in cui capita,  in fondo lei se l’è cercata. Qualche donna, di rimando, potrebbe credere che esista da qualche parte un amore senza rispetto e non sentirsi in diritto di pretenderlo.

Accade già, e non è certo colpa del diritto, ma sarebbe un problema se l’effetto collaterale del diritto fosse di farlo accadere di più. 

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo