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domenica 15 settembre 2024
 
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Il "rostro" (volto) amazzonico della Chiesa

26/10/2019  Ordinazione di diaconi permanenti sposati, rito indigeno, ministeri per le donne. Il Sinodo risponde alle attese delle popolazioni dell'Amazzonia chiedendo una profonda conversione e mettendosi in cammino con i più deboli della terra.

Certo, la Chiesa non è un Parlamento. Non si può però non sottolineare che la maggioranza dei padri sinodali abbia voluto dare, a netta maggioranza, una chiara indicazione del cammino che la Chiesa in Amazzonia deve compiere nei prossimi anni.

Il ricco documento finale, 120 paragrafi in tutto, è frutto di un cammino che non si è limitato alle tre settimane in Vaticano, ma che è partito già prima con una fase preparatoria di oltre due anni e con un ricco ascolto. «Ascolto» è la parola che sottolineano a più riprese il cardinale Michael Czerny, S.I., Sotto-Segretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e monsignor David Martínez de Aguirre Guinea, vescovo titolare di Izirzada, Vicario Apostolico di Puerto Maldonado (Perú), entrambi segretari speciali del Sinodo.

«La Chiesa sta imparando ad ascoltare, a discernere, e a capire come la Tradizione può esprimersi in maniera feconda nella situazione di oggi», dicono presentando il documento finale nella sala stampa vaticana, «si sta interrogando su come portare la buona novella tra le popolazioni dell’Amazzonia». Monsignor David ripete la frase di un indigeno che ha partecipato ai lavori del Sinodo: «spesso l’estrazione dell’oro è più vicina al mio popolo della Parola di Dio».

Conversione è la parola chiave di una Chiesa che avanza, perché, come ha detto papa Francesco, «la Tradizione non è un oggetto da museo, non è un magazzino per delle ceneri, è una risorsa per il futuro, è ciò che noi dobbiamo offrire in modo da poter andare avanti». L’immagine è quella di «papa Francesco circondato dai popoli indigeni che avanzano spingendo un corteo di vescovi verso il Sinodo, spingendo la Chiesa verso il Sinodo», continua il vescovo di Puerto Maldonato.

Una Chiesa che cammina e ascolta, che parla di conversione pastorale, culturale, ecologica e sinodale, come scandiscono i titoli dei capitoli del documento finale. «Senza la conversione», sottolinea il cardinale Czerny, «non ci sono nuovi percorsi, senza conversione noi ripetiamo quello che abbiamo già fatto. Ne parliamo di più, ma non c’è un vero cambiamento e invece con l’Amazzonia che brucia molte persone si stanno rendendo conto che le cose devono cambiare».

E il primo cambiamento è quello pastorale, «il modo in cui la Chiesa è Chiesa e agisce fra la sua gente. Dobbiamo fare meglio per portare la buona novella tra le genti. La gente vuole sentire parole di speranza, ma noi non necessariamente riusciremo a raggiungerli se continuiamo a fare come stiamo facendo ora», dice ancora il cardinale. Nel documento, in questo capitolo, si parla di Chiesa in uscita missionaria , di Chiesa samaritana, misericordiosa, solidale, del dialogo, con un volto indigeno, giovane, migrante. Una Chiesa che percorre nuove strade approfondendo una spiritualità dell’ascolto e dell’annuncio.

E poi una seconda conversione, quella culturale, che significa, spiega ancora il cardinale, «che dobbiamo rispettare profondamente come l’altro è nel mondo, non assumere che il modo in cui noi siamo sia la norma, sia l’ultima parola. Il modo in cui ognuno è è differente e questi modi devono essere accolti, senza questa accoglienza l’altro non può fiorire».

Ancora la conversione ecologica in un momento in cui la «crisi ecologica è così profonda che, se non cambiamo, non ce la faremo», Czerny parla della sua esperienza in Africa e di quella che si chiamava la «maledizione del petrolio», cioè la maledizione di quelle terre che, ricche di petrolio, venivano sfruttate a danno dei suoi abitanti e del creato. «Non lasciamo che tutta la ricchezza naturale e umana dell’Amazzonia venga trasformata in una maledizione», sottolinea.

Infine la conversione sinodale: «parola importante che ci aiuta a imparare meglio come essere Chiesa. È un modo per procedere, per procedere insieme, ed è un modo per tradurre il nostro ascolto, la nostra riflessione, la nostra preghiera nella scoperta di dove dobbiamo andare e come farlo».

Tra i temi più discussi, tra i 181 padri sinodali che hanno partecipato alla votazione finale, quello dell’ordinazione dei viri probati e del diaconato alle donne. Il numero 111, inserito nel capitolo sulla conversione sinodale e tra i paragrafi dedicati all’eucaristia, fonte e culmine di comunione sinodale, ricorda che «a volte ci vogliono non solo mesi, ma anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’ecuaristia, offrire il sacramento della riconciliazione o ungere i malati della comunità» Dopo aver ricordato l’apprezzamento per il celibato, il numero, approvato con 128 voti a favore e 41 contrari, propone di «stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen Gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone remote della regione amazzonica».

Per quanto riguarda invece la presenza femminile è stato chiesto (numeri 99 e seguenti) che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate, partecipino in modo più incisivo alla presa di decisioni, contribuiscano alla sinodalità ecclesiale, assumano con maggiore forza la loro leadership all’interno della Chiesa, nei consigli pastorali o «anche nelle istanze di governo». Protagoniste e custodi del creato e della casa comune, le donne sono spesso «vittime di violenza, fisica, morale e religiosa, femminicidio compreso». Il testo ribadisce l’impegno della Chiesa in difesa dei loro diritti, in special modo nei confronti delle donne migranti. Nel contempo si riconosce la «ministerialità» affidata da Gesù alla donna e si auspica una «revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti». In particolare in quei contesti in cui le comunità cattoliche sono guidate da donne, si chiede la creazione del «ministero istituito di donna dirigente di comunità». Per quanto riguarda invece il diaconato permanente per le donne il Sinodo chiede di ridiscutere della questione con la Commissione di studio sul diaconato delle donne creata nel 2016 da Papa Francesco e «attenderne i risultati».

Il Documento, inoltre, denuncia la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattiva; assume e sostiene, anche in alleanza con altre Chiese, le campagne di disinvestimento delle compagnie estrattive che causano danni socio ecologici all’Amazzonia; propone una transizione energetica radicale e la ricerca di alternative; propone inoltre lo sviluppo di programmi di formazione per la cura della “casa comune”.

 

È il Papa stesso, però, nel discorso conclusivo del Sinodo a ricordare di non soffermarsi su singoli punti, da di condividere l’impianto e l’analisi globale, la «diagnosi» su quel che sta accadendo in Amazzonia. «Diagnosi culturale, sociale, pastorale, diagnosi ecologica».

E, nell’annunciare che entro la fine dell’anno cercherà di trovare il tempo per scrivere l’Esortazione post sinodale, invita certa «élite cattolica» a non domandarsi se «ha perso quel partito, quell’altro partito». C’è sempre, dice Francesco, «un gruppo di cristiani, di élite, ai quali piace porre come se fosse universale questo tipo di diagnosi, molto piccola, questo tipo di risoluzioni più disciplinari. No abbiamo vinto tutti con la diagnosi fatta e noi continuiamo ad andare avanti nelle questioni pastorali e interecclesiastiche», mentre questa élite «tiene alle cosette e si dimentica del grande». Sono persone, conclude Bergoglio citando Peguy, che «non hanno il coraggio di impegnarsi nelle opzioni dell’uomo e nelle soluzioni di vita dell’uomo, si credono di lottare per Dio. Perché non amano nessuno, credono di amare Dio».

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