«È stato un dono grande». Giovanni Ramonda,
presidente
dell’Associazione
papa Giovanni XXIII,
è ancora profondamente
emozionato.
E forse ancora più di
lui lo sono le venti ragazze della Casa
di prima accoglienza di Roma, strappate
dal marciapiede – letteralmente
– dai volontari della Comunità fondata
da don Oreste Benzi. La visita “a
sorpresa” di papa Francesco, in occasione
dei Venerdì della misericordia,
ha lasciato il segno.
«Le nostre ragazze non sapevano
che Francesco sarebbe venuto, o meglio,
avevamo promesso loro la visita
di un cantante famoso, quindi erano
in attesa», racconta Ramonda. «Poi,
verso le cinque del pomeriggio, hanno
visto spuntare dall’ascensore la talare
bianca e il viso del Papa… Qualcuna ha
battuto le mani per la contentezza, altre
hanno pianto di gioia».
Ovviamente l’hanno riconosciuto
subito. Il Papa le ha abbracciate una a
una. Venti ragazze, alcune uscite dalla
strada soltanto da pochi giorni, per
una buona metà minorenni, le altre
dai venti ai trent’anni. Nigeriane, albanesi,
ucraine, rumene.
«Francesco è andato loro incontro
con la tenerezza di un nonno,
non ha parlato subito, ma ha voluto
mettersi in ascolto». Si è seduto nel
salone della Casa d’accoglienza, come
un ospite qualsiasi, e ha invitato le ragazze
a raccontare le loro storie. Le ha
ascoltate in silenzio, senza mai interromperle.
Per loro non è stato facile riviverle.
Storie drammatiche, identiche e insieme
diverse. L’incontro apparentemente
casuale con gli aguzzini, la promessa
di un lavoro per uscire dalla povertà
e aiutare le famiglie, il distacco dalla
loro terra e dagli affetti, la scoperta,
una volta arrivate a destinazione, di
dover lavorare in strada. La ribellione,
la segregazione in stanze buie, le percosse,
le violenze, le sevizie.
«Il Papa le ha ascoltate per più di
un’ora e il suo volto esprimeva tutta la
sofferenza per questo orrore», spiega
ancora Ramonda. «Quando la ragazza
di turno terminava il racconto, lui si
alzava e andava ad abbracciarla».
Una di queste giovani aveva in
braccio il suo bambino di pochi mesi,
altre erano incinte. Un dramma nel
dramma. «È la nuova tendenza del
momento», chiarisce Ramonda. «I
clienti chiedono ragazze sempre più
giovani e possibilmente incinte, e in
questo caso sono disposti a pagare di
più. Mi rendo conto che è diffi
cile crederci,
ma purtroppo è così».
Alla
fine papa Francesco ha preso
in braccio questo bambino, poi ha
parlato per un paio di minuti. «Io vi
chiedo perdono a nome di quei maschi,
anche credenti e cattolici, che
hanno violentato la vostra dignità», ha
detto. Quindi, rivolto ai membri della
Comunità presenti all’incontro ha aggiunto:
«Aiutatemi a dare bastonate
a chi di dovere».
Parole forti, che sono suonate
come un chiaro incoraggiamento per
una battaglia che prosegue da venticinque
anni a questa parte.
L’ha cominciata don Oreste
Benzi a Rimini, praticamente in
sordina, andando in giro da solo, in
zona stazione, con la sua tonaca lisa
e le coroncine del rosario da regalare
alle schiave del marciapiede della capitale
delle vacanze.
«Vieni via con me», diceva, spesso
sotto gli occhi minacciosi degli aguzzini,
senza curarsi delle minacce e dei
rischi cui andava incontro. Sera dopo
sera,
finché le ragazze cominciavano a
darsi e si lasciavano portare via.
«Da allora siamo riusciti a liberare
dalla tratta più di settemila donne», spiega Ramonda. «Attualmente
400 giovani sono ospiti delle nostre
strutture e abbiamo 21 unità di strada,
dalla Calabria al Veneto, al Piemonte,
che due volte la settimana escono per
incontrare le vittime della prostituzione.
E riusciamo a portarle via, da 20
a 40 al mese. Invece di “quanto vuoi?”
chiediamo loro “quanto soffri?”. A volte
vengono via subito, in altri casi ci telefonano
e noi andiamo a prenderle».
Una volta liberate dalla tratta comincia
un lungo percorso. «Innanzitutto
le spostiamo e, in collaborazione
con il Ministero, mettiamo in atto un
programma di protezione», continua
Ramonda. «Poi facciamo partire l’iter
per regolarizzare la loro posizione e
restituirgli i documenti».
Quando è possibile le ragazze seguono
corsi per l’inserimento professionale,
ma per alcune di loro il ritorno
a una vita “normale” non è realizzabile.
«Alcune sono devastate, anche
psicologicamente e difficilmente potranno
riprendersi e vivere da sole
in autonomia. Rimarranno con noi
per sempre, nelle nostre case».
Dal Papa è venuto un incoraggiamento
forte anche per la campagna
che l’Associazione papa Giovanni
XXIII sta sostenendo, “Questo è il mio
corpo”, per appoggiare il disegno di
legge Bini che prevede la punibilità dei
clienti. «In questo momento ci sono
disegni di legge che prevedono l’opposto,
ossia la legalizzazione della
prostituzione», spiega Ramonda. «Noi
ovviamente siamo contrari, perché
non solo la legalizzazione offende la
dignità delle donne, ma nei Paesi in cui
è stata introdotta, come la Germania e
i Paesi Bassi, non ha stroncato il sommerso
e ha invece incrementato gli affari
del racket, con un doppio binario».
La visita di papa Francesco è servita
a ridare energia e coraggio. «Ci
ha detto di continuare e questo ha
confermato la bontà della nostra iniziativa.
La consideriamo una perla sul
nostro cammino».