C’è una sola cosa da dire, una sola idea da spartire, è
semplice ed onesto farlo: la Spagna del calcio è stata molto semplicemente
assai più forte dell’Italia nella finale europea, la Spagna del calcio è
assolutamente, al di là anche di questo grande risultato, una squadra che fa lezione, fa gol, fa epoca.
Campione d’Europa 2008, campione del mondo 2010, campione d’Europa 2012.
Una
finale è da presumere come un confronto fra due squadre pressocché di eguale
valore. Se finisce con un 4 a 0 (non
perdevamo con questo scarto dal 1955) vuol dire che erano sbagliati, prima, a
monte, tutti i calcoli, tutte le previsioni.
Ci siamo sbagliati
tutti. A sperare, a programmare, a mobilitare, persino a nobilitare, e di
corsa. In realtà c’era un abisso fra le due squadre, e lo si è visto. Avevamo
giocato al gioco di non voler vedere l’abisso.
Noi lo avevamo fatto per stima
assoluta nel lavoro etico di Cesare Prandelli,
una brava persona che ha cercato di mandare in campo bravi ragazzi.
Altri lo hanno fatto perché puntavano sullo stellone italico, perché speravano
in un successo italiano che permettesse di far festa e di limare, di piallare
come in una miniamnistia le sentenze per Scommettopoli, perché “non si sa mai”.
Sono fra di loro gli inevitabili cretini che diranno che Mario Monti, presente
a Kiev, porta iella. Gli stessi cretini che hanno apprezzato, dopo
Italia-Germania 2 a 1 in semifinale, i titolacci dei nostri giornali di destra contro la Merkel,
come se avesse perso lei la partita e come se anni e anni di nostri crimini
politici ed economici potessero essere bypassati da due gol di Balotelli.
Che pena abbiamo fatto nel caricare questo campionato europeo di significati geopolitici e pseudoeconomici. Che pena facciamo adesso nello scoprire difetti cronici di fondo, difetti del nostro calcio, che se per caso o per fortuna o altro avessimo vinto la finale, sarebbero stati ignorati. Che schifo facciamo se rispolveriamo scuse trite, come il poco riposo prima della sfida con la Germania ed anche con la Spagna, quando le vigilie erano state piene di nostro ottimismo, di tutto va bene. Che ridere fanno i nostri orrendi razzisti che adesso definiscono Balotelli un padano di pelle scura, subendo anch’essi il fascino, massì, di un ragazzo forte e matto che nella finale si è battuto per l’Italia come nessun altro dei suoi pur volenterosi compagni di squadra, lui commovente e commosso.
Ci sarà da riparlare di tutto, ma partendo da una constatazione ferma, semplice, dogmatica: la Spagna è stata più forte, la Spagna è più forte, nella sfida inaugurale del torneo l’abbiamo pareggiata chissà come chissà perché. Il nostro gioco nuovo, sintonizzato in buona parte su quello spagnolo, è nato all’Europeo, promette e richiede sviluppi, fiducia, interpretazioni, devozioni di uomini e non solo (i club presteranno più generosamente i loro giocatori alla causa azzurra, visto che la Nazionale di Prandelli è andata avanti anche contro i club italiani?).
Pensiero tremendo, adesso: tempo due giorni, un poco di processo a Prandelli che qualcosa avrà pure sbagliato, poi calciomercato, poi campionato, e della Nazionale azzurra seconda in Europa non fregherà niente a nessuno. A Milano i tifosi rossonerazzurri diranno che se la Nazionale quando vince è Italjuve, Italjuve è anche quando che perde anzi straperde, e saranno contenti così.