La mamma è sempre la mamma. Si conferma lo stereotipo dell’italiano attaccato alla gonna della genitrice. Figli, ma anche figlie, hanno la propria madre come figura di riferimento: l’84 per cento dei giovani intervistati per il Rapporto giovani, ricerca dell’Istituto Toniolo, nutre “molta fiducia” in questa figura che “non giudica”, ma “è presente e aiuta in tutti i momenti di difficoltà”, il 9 per cento “abbastanza”. Una fiducia che si basa sul fatto di pensare che la mamma è «disinteressata e pensa solo al mio bene», «mi trasmette entusiasmo per la vita», «riesce a farmi vedere dove sbaglio». Un po’ sorprendentemente i genitori sono al primo e al secondo posto (il papà gode di “molta fiducia” per il 73 per cento degli intervistati, di “molta fiducia” per il 13). Cala la percentuale della fiducia se si parla della fiducia in se stessi: (68 per cento molto, 23 abbastanza), in quella verso il partener (65 per cento), negli amici (47 per cento si fida molto di loro). Per quanto riguarda, invece, la fiducia nella Chiesa, soltanto il 12 per cento la considera una figura di riferimento e il 14 per cento crede nel suo parroco. Per papa Francesco, però, è tutta un’altra storia: ben il 46 per cento lo giudica “molto affidabile” e il 26 ha abbastanza fiducia. Una percentuale, anche quella bassa che riguarda la Chiesa cattolica in generale, che è però molto più alta della media delle altre istituzioni. Nell’Unione europea, per esempio, ha fiducia solo il 9 per cento degli intervistati.
Nando Pagnoncelli, che ha presentato i dati elaborati dall’Ipsos sul campione selezionato dal Toniolo nel corso del XIII convegno nazionale di pastorale giovanile in corso a Genova fino al 13 febbraio, ha sottolineato che, come già si sa «il nostro Paese sta invecchiando». Questo significa che «è un Paese che fa fatica a rinnovarsi, non ha la base cui attingere per attivare processi di innovazione». Questo ha un impatto anche sui consumi. «Se diventa difficile uscire dalla famiglia d’origine, questo ha un impatto sui consumi, che si comprimono». Un terzo problema è la tenuta del sistema previdenziale: «Se si riduce la parte attiva dei lavoratori sarà sempre più difficile sostenere il numero delle pensioni».
L’inverno demografico potrebbe tradursi in un inverno democratico. Perché la politica andrà a cercare i voti nella parte più numerosa, quindi anche la politica cercherà di soddisfare i bisogni e gli interessi della popolazione più anziana senza saldare la frattura fra le generazioni. Se la popolazione italiana tiene complessivamente come numero, e anci aumenta di un quattro per cento, è sempre di più per la nascita di bambini nati da almeno un genitore straniero (il 25 per cento dei nati nel Nord), mentre i figli di entrambi i genitori italiani diminuisce di uno 0,7. In Italia resta drammatica la disoccupazione giovanile, con oltre il 40 per cento, ben dieci punti percentuali in più rispetto a dieci anni fa. Su una popolazione di quasi sei milioni di giovani, gli inattivi e i disoccupati, cioè i giovani che non studiano e non lavorano sono il 29 per cento, il 16,2 non cerca neppure lavoro. Pagnoncelli sottolinea che il dato del 40 per cento include anche i giovani che studiano, ma se si considera il dato netto dei giovani senza lavoro, anche se la percentuale è più bassa, è anche più critica perché una fetta consistente di giovani «è talmente sfiduciato che non ha neppure la volontà di cercare una occupazione e sfugge anche alle statistiche sulla disoccupazione». È anche per questo che i giovani italiani cercano di restare in famiglia il più possibile, Il 68 per cento dei giovani tra i 15 e i 34 anni vive con i genitori, solo il 24 per cento in Germania.
Cambia però anche la tipologia delle famiglie. Aumentano quelle monocomponenti e le coppie senza figli. I giovani però non si arrendono: continuano ad avere desiderio di famiglia e, per farlo, si adattano anche a lavori che non corrispondono ai loro desideri o ai loro studi, che hanno un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che sarebbe adeguato. E, se possono, cercano lavoro anche all’estero. Il 48,9 per cento sarebbe disposto a emigrare, il 31,7 a lasciare la sua città e trasferirsi in un’altra località italiana. Spesso, però, quando no sono disponibili a spostarsi è anche per il costo abitativo quasi sempre proibitivo per il livello di salari dei giovani. Guardando i dati reali, sono stati 300 mila i giovani italiani che hanno cancellato la propria residenza dall’Italia nel primo decennio. Il 27,6 riguarda giovani laureati (erano l’11,9 nel 2002). Dati relativamente bassi, ma ciò non toglie che, chi sarebbe disponibile ad andare, anche quando non si sposta, alimenta sentimenti negativi nei confronti del proprio Paese.
Sono camaleontici nell’interazione con il contesto informale, si adattano facilmente ai cambiamenti, ma sono ricci nei confronti delle istituzioni e cercano di mantenere le distanze. In tutta la ricerca, però, emerge il forte desiderio di famiglia, con la volontà di avere due figli. Il 68,2 per cento pensa che la famiglia sia la cellula fondamentale della società e si basa sul matrimonio, ma considera del tutto normale continuare a vivere con i genitori anche dopo i 25 anni. La famiglia è un luogo di rifugio, aiuta a guardare con fiducia al mondo circostante e alla vita. Nonostante questo, però, per 89 per cento, i giovani pensano che il Paese stia andando in una direzione sbagliata, contro un 81 per cento degli adulti. Più negativi dunque, anche se, nel 27 per cento dei casi, immaginano la loro vita futura migliore (il 56 invariata, il 17 peggiore). Si sentono “moderatamente” felici, una «felicità fatta di piccole cose purché significative», spiega la ricerca. Si ridimensionano un po’ gli obiettivi e si hanno sprazzi di felicità. Diventare adulti è più complicato, spesso si resta a metà del guadi, si mischiano i passaggi che in passato cadenzavano il passaggio d’età: studio, lavoro, matrimonio, figli. Oggi le «scadenze sono mischiate e non sempre, no per forza, raggiunte». Anche per questo i giovani restano a metà strada, si considerano giovani sempre più a lungo e rende difficile realizzare progetti a lunga scadenza.