Vivaldi come non lo avete mai sentito, né … annusato. La mostra dedicata al “Prete rosso”, appena inaugurata a Venezia al museo di Sant'Apollonia, indiscutibilmente ha poco di convenzionale. “VivaVivaldi. The four season mistery” vuole stupire con effetti speciali, come recitava il noto slogan pubblicitario. Vuole soprattutto far conoscere il genio del grande musicista barocco partendo dai sensi. Sì, è una mostra sensoriale e sensuale, dove la musica la vedi, la senti, la odori e perfino la respiri. Tutto… in concerto.
Si chiama “video-mapping” ed è una dei primi esperimenti di questa tecnica in interno per mostre: si mappano gli spazi interni del museo per trasformali in fondali su cui più proiettori contemporaneamente creano animazioni visive di grande effetto scenico. Così i muri veri si sgretolano, le pareti di mattoni diventano liquide distese, si aprono a paesaggi esterni. Luci, colori, ombre, interagiscono col suono, i profumi e perfino il vento, per creare un’esperienza: quella dell’arte vivaldiana. Un modo assolutamente “stravagante” di presentare l’autore della “Stravaganza”.
Questa full immersion dentro vita e arte di Vivaldi è diviso in tre tappe, tante quanti gli ambienti nei quali è distribuita la mostra (ma il termine “mostra” è forse un termine inadatto, rendendo ragione solo dell’aspetto visuale del percorso). In essi si sviluppa, dentro un continuum musicale di brani vivaldiani cuciti da musiche composte al piano per l’occasione da Cristian Carrara, un itinerario che vuole portarci dentro il genio del compositore veneziano, quasi fin dentro la sua mente, per intercettare le sue sinapsi che fanno scaturire l’arte sublime delle sue note. E accanto alla musica si inseriscono i suoni della sua Venezia, dallo sciabordio causato dalla barca al tonfo del colpo del remo in acqua, fino a quelli della natura, tanto amata dal musicista, tra i “fortissimi” dei lampi e i “pianissimi” del fruscio di foglie che cadono.
Nella seconda sala un video, iterato per decine di monitor, sfrutta tre immagini metaforiche (quella di un bambino sognante e impaurito, quello di una giovane che danza e corre libera, e quello di un albero che rinasce al sole della primavera) per dirci qualcosa della vita e della personalità di Vivaldi.
L’ultima sala, la più pop di questa esposizione tutta pop, nel senso letterale del termine, è il racconto per emozioni visive, nello spazio architettonico più ampio e complesso della mostra, della fine di Vivaldi, della morte e rinascita della sua musica. Prima la caduta: dalla gloria in vita, alla decadenza e all’oblio. Poi, la risurrezione, plasticamente resa con l’abbattimento delle pareti tombali in cui noi, assieme a Vivaldi, eravamo finiti, e finalmente la nuova gloria, e la nascita del mito dell’autore delle Quattro stagioni. Un percorso quasi “pasquale”, non a caso inquadrato nello spazio di un museo diocesano, ospitato dentro un edificio sacro di rara suggestione come quello di Sant’Apollonia. “Per un genio che, ricordiamolo, fu sacerdote, e che dedicò alla liturgia cinquanta opere di musica sacra”, osserva il direttore del museo, don Gianmatteo Caputo.
In pochi minuti di immagini, video ipertecno, odori, vento e, ovviamente, musica vivaldiana in dolby surround, ci passa davanti l’esperienza artistica del Prete Rosso che, pochi forse sanno, morì a Vienna, la notte tra il 27 e il 28 luglio del 1741, in povertà, seppellito in una fossa comune, lontano dalla sua Venezia che gli aveva voltato le spalle.
La scommessa dei curatori è semplice: se e è vero che Vivaldi è uno dei musicisti classici più pop che abbia mai incontrato la storia della musica, la via migliore per raccontarlo può essere, appunto, una modalità pop. Quasi psichedelica. Comunque lontanissima dal didatticismo spesso incombente su una mostra . “VivaVivaldi” è, invece, una mostra volutamente an-alfabeta: niente, o pochissime parole scritte, quelle indispensabili, praticamente i titoli e due tre citazioni evocanti. Le lunghe didascalie i pannelli illustrativi sono banditi, per permettere la dilatazione degli altri sensi. Persino il titolo è analfabetico: “vivavivaldi” è suono prima che scrittura, è allitterazione. E richiama il graffito “W….” con cui i bambini imbrattano i muri; è lo striscione da stadio. “V” come Vivaldi, ma anche come Venezia, lo sfondo scenografico perfetto delle sue musiche visionarie, pittoriche.
Insomma, un'introduzione all'arte del genio che vuole provocare l’interesse verso l’opera. “Avremo raggiunto lo scopo se, uscendo dal museo, il visitatore entrasse in un negozio di dischi o acquistasse un biglietto per un concerto vivaldiano alla Fenice”, scherza, ma non troppo Francesco Bernardi, ingegnere con la passione per l’arte, presidente della società produttrice dell’evento, e ideatore della mostra.
Tentativo riuscito? Lo dirà il pubblico, ma è un tentativo che andava fatto nella città che ha un debito di riconoscenza verso quello che fu il suo più grande musicista. Non c’è paragone tra quanto ha fatto Salisburgo col “suo” Mozart e Venezia con il “Prete rosso”: nella città austriaca tutto ci parla del musicista “prodigio”, comprese le stagnole dei ciccolatini, che non a caso si chiamano Mozartkugeln.
A Venezia? “Mi sono imbattuto in un veneziano all’osteria, l’altro giorno, che alla domanda dove fosse sepolto Vivaldi, ha candidamente risposto: “Ah sì? e quando è morto?”, racconta il musicista veneziano Roberto Scarpa. “Quanta ingratitudine, ignoranza e scarsa sensibilità verso l’autore della composizione musicale forse più nota al mondo, come sono le “Quattro stagioni, assieme all’inno alla gioia di Behetoven”. Quando all’estero pronunci la parola “Venezia”, non si associano gondole o Casanova, bensì Vivaldi e le sua immortale composizione”. Amarissima costatazione. Se facessimo un sondaggio nella città lagunare, e chiedessimo “Cosa associate alle Quattro stagioni” la maggior parte dei concittadini del Prete rosso forse risponderebbe… “il nome di una pizza”. E allora, Viva Vivaldi!