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giovedì 19 settembre 2024
 
 

Vizi capitali, presi per la gola

27/11/2012  Troppo o troppo poco. Il rapporto deformato con il cibo nella riflessione di Enzo Bianchi. E in secoli di storia dell’arte. Da Giotto a Dalí. Passando da Bosch, noto pittore fiammingo.

L’invito a non essere ingordi ce lo sentiamo ripetere fin da quando siamo bambini. Un invito apparentemente banale. Scontato. Eppure dietro a questa raccomandazione si nasconde un’antica e saggia preoccupazione: quella di disciplinare l’istinto, evitando gli eccessi. Il cibo? Né troppo né troppo poco. È elemento vitale e riguarda l’equilibrio delle singole persone. Ma, per come è prodotto, per il modo con cuiviene venduto e per la ritualità che ne accompagna il consumo dice molto anche sul rapporto con la natura, l’economia, il prossimo.

Tra i vizi capitali l’ingordigia s’accompagna a degenerazioni d’altro tipo come la lussuria, l’avarizia, la collera, l’accidia, l’orgoglioe l’invidia. Tutti atteggiamenti che indicano un rapporto deformato con la realtà: la sessualità, il denaro, le cose, il lavoro, il tempo, lo spazio, noi stessi e il prossimo. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, nei libri d’Avvento, usando il linguaggio dei padri del deserto, riflette su queste “tentazioni” che insidiano la nostra libertà.

La lotta spirituale ispira anche l’arte. È, ad esempio, il mondo descritto dal grande pittore medievale fiammingo Hieronymus Bosch(1453-1516), un mondo di monaci tentati nel deserto, di uomini e donne sedotti da un paesaggio fatto di cose e animali ibridi e deformi. Della vita di Bosch sappiamo ben poco, ma la sua opera ci trasporta nell’aldilà con la forza visionaria di Dante Alighieri, dipingendo le anime viziose sottoposte alle pene del contrappasso.

Come tutti i grandi artisti medievali Bosch ha saputo mostrare ai suoi contemporanei l’umanità sul baratro della dannazione, esplorando i meandri della mente umana e le immagini mostruose e inquietanti che nascono dalle nostre fantasie e generano paure.Un secolo prima di lui Giotto, a Padova, sulle pareti della cappella degli Scrovegni aveva illustrato i vizi sotto forma di silhouette monocrome di donne dall’aspetto deforme. E dopo Bosch altri artisti hanno affrontatol’argomento. Nell’Ottocento, l’inglese William Blake ha illustrato la Bibbia e in particolar modo il Giudizio universale. Nel Novecento, il catalano Salvador Dalí ha portato su tela paesaggi visionari e allucinati. Fino ad arrivare a L’urlo di Munch: esprime una domanda di un senso da dare alla vita che attraversa tutto il Novecento e ancora ci inquieta.

n questo panorama artistico Bosch rimane insuperato. Nell’opera I sette peccati capitali riesce a scrivere un vero e proprio trattato di teologia. Nella pupilla di un grande occhio, l’occhio di Dio che tutto vede, rappresenta Cristo con i segni della passione. Nella raggiera dell’iride inserisce i sette vizi capitalie a lato, in quattro cerchi o globi, i Novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso. Così facendo comunica un grande insegnamento:è guardando a Cristo che entriamo nello sguardo di Dio e possiamo essere guariti, riscattati dai nostri vizi e peccati.

Non uno sforzo moralistico ma una grande opportunità per essere felici. Si diventa ciò che si guarda, come insegna Gesù. L’ingordigia è rappresentata in un interno fiammingo. Due contadini si abbuffano mangiando e bevendo smodatamente mentre un bambino obeso si aggrappa alle ginocchia e si protende verso l’adulto il quale, indifferente, è tutto intento a spolpare un cosciotto. La stanza a soqquadro e piena di oggetti inquietanti esprime il senso di peccato. Come il disordine: il vizio porta al peccato e all’egoismo persino verso i propri figli.

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