Berlusconi e Santoro alla puntata di "Servizio pubblico" del 10 gennaio (Ansa).
Il primo sospetto è sorto la notte del 17 dicembre scorso, quando Roberto Benigni iniziò la lezione-spettacolo La più bella del mondo sulla Costituzione con battute, aneddoti e parodie indirizzati al bersaglio di sempre: Silvio Berlusconi. Fu una trasmissione per certi versi memorabile, per la capacità con cui il comico toscano seppe - alla stregua di quanto aveva fatto con l'Inno di Mameli - avvicinare il testo della nostra Carta fondamentale alla comprensione della gente comune. Proprio la brillantezza nel commentare e rendere intelligibile a tutti la Costituzione sembrò stridere con quella prima parte della trasmissione: tanto erano argute e stimolanti le intuizioni sui princìpi costituzionali, quanto erano apparse prevedibili e stanche le battute sul Cavaliere. Al punto che qualcuno si è chiesto: era proprio necessaria quella pagina iniziale?
Intendiamoci: era naturale che Benigni introducesse il discorso "alto" offrendo un saggio della vis comica che l'ha reso famoso, per carità. E tuttavia: perché tornare sempre a lui, a Berlusconi? E il fatto che il repertorio fosse suonato "ripetitivo" e già sentito alle orecchie di molti, rafforza la perplessità. Lì si era affacciato, per la prima volta, il sospetto: questo insistere su Berlusconi non avrebbe avuto l'effetto di riportarlo al centro della scena, di renderlo nuovamente protagonista, in un momento in cui sembrava fuori dai giochi e in difficoltà?
Il sospetto è diventato dubbio la sera del 10 gennaio. Berlusconi aveva finalmente accettato l'invito di Michele Santoro di prendere parte alla sua trasmissione, Servizio pubblico. Qualcuno - non sappiamo in base a quali dati, ma la sensazione è diffusa e condivisa da molti - ha detto che la rimonta di Berlusconi è cominciata proprio quella sera. Certo, l'impressione è che quello che doveva essere, nelle intenzioni del conduttore, il processo in cui sferrare al "nemico" storico il colpo del ko, si è tramutato in un micidiale assist.
Maurizio Crozza nella parodia a Berlusconi a Sanremo (Ansa).
Berlusconi è un animale da campagna elettorale, si dice, e quel 10 gennaio se ne ebbe una clamorosa conferma. Pur senza sostenere niente di nuovo né aggiungere nulla a quanto già sappiamo di lui, uscì non diciamo vincitore, ma offrendo l'immagine di un leone che non aveva nessuna intenzione di farsi mettere da parte. Fu messo insomma nella condizione di dare il meglio di sé, di esibire tutto il suo repertorio, di parlare alla pancia della gente. Di sicuro mandò un segnale ai "suoi": ci sono ancora, e venderò cara la pelle. "Vuoi vedere che Santoro ha finito con il dare visibilità e forza a un politico suonato?", pensarono in tanti.
Infine Maurizio Crozza: comico intelligente, acuto, preparato. Che si presenta sul palco di Sanremo facendo il verso a chi? A Berlusconi, ovviamente. Perlopiù proprio all'inzio del suo spettacolo. Il dubbio prende corpo: non sarebbe stato più furbo, da parte sua, cominciare, che ne so, con Ingroia o Montezemolo, e poi infilare Berlusconi? Se non altro, avrebbe fatto intendere che è uno dei tanti di cui sorridere, non il Primo, non il più Importante. Qualcun altro si è permesso addirittura di affermare che Crozza si sarebbe dimostrato geniale e avrebbe escogitato la più efficace satira su Berlusconi se avesse imitato e sbeffeggiato tutti gli altri politici-candidati, fuorché lui. Invece no: il Cavaliere - che molti segnali (e sondaggi) - davano per inesistente si è materializzato sul palco dell'Ariston, in diretta nazionalpopolare, davanti a milioni di telespettatori. Uno straordinario spot, peraltro gratis. E che, come nel caso di Benigni, non faceva nemmeno tanto ridere: battute già sentite (a Ballarò e Crozza nel Paese delle meraviglie), concetti già espressi.
Allora il dubbio si tramuta in domanda: questa ossessione per Berlusconi, alla fine, non ha giovato alla sua rinascita? Santoro ripete che i sondaggi, già prima della sua trasmissione, indicavano la risalita di Berlusconi. Non si può però escludere che lui, e tutti coloro che, anziché "ignorarlo", l'hanno evocato e reso ancora protagonista, gli abbiano dato una mano.
Paolo Perazzolo
Marco Travaglio negli studi di "Servizio pubblico" (Ansa).
«Una colossale sciocchezza». Così Marco Travaglio liquida la tesi secondo cui proprio l'arcinemico Michele Santoro, ospitandolo nella sua arena di Servizio pubblico il 10 gennaio scorso, avrebbe favorito la clamorosa rimonta di Silvio Berlusconi che l'ha portato a un soffio dalla vittoria alle ultime elezioni.
L'editorialista del programma di La7 precisa la sua affermazione partendo dai dati: «Tutti i sondaggi concordano sul fatto che il Centrodestra ha cominciato ad aumentare i suoi consensi, anche se non di molto, quando Berlusconi ha annunciato che sarebbe stato di nuovo lui il leader della coalizione, quindi ben prima della messa in onda di Servizio pubblico. Ma la vera crescita è avvenuta con l'annuncio della restituzione dell'Imu sulla prima casa. Detto questo, il Centrosinistra avrebbe comunque vinto se solo avesse avanzato almeno una proposta in grado di far breccia nella gente. Una cosa è certa: è stato il Pd a non vincere le elezioni, noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere».
Quindi, con il senno di poi, non cambierebbe nulla di quella puntata di Servizio pubblico?
«Assolutamente no. Noi siamo stati gli unici a smontare, e non a parole ma con documenti alla mano e in diretta, i due capisaldi su cui si era basata fino a quel momento la campagna elettorale del Cavaliere: la battaglia sull'Imu, in cui abbiamo ricordato a tutti che fu il Pdl a volerla e che, una volta approvata, proprio Berlusconi elogiò il Governo Monti; e il presunto complotto delle banche tedesche contro di lui. Qui, mostrandogli documenti ufficiali, la nostra Giulia Innocenzi lo ha costretto ad ammettere di aver fatto confusione fra Bundesbank e Deutschebank».
Eppure Luisella Costamagna dalla settimana successiva ha deciso di lasciare Servizio pubblico. Lei finora non ha voluto spiegarne le ragioni, ma molti sostengono che lo abbia fatto perché non le è piaciuto il modo in cui è stata condotta la trasmissione.
«No. Luisella, che quella sera è stata bravissima, ci ha lasciato per altri motivi. Ma, ripeto, noi ci siamo solo limitati a fotografare la realtà, chiamando in trasmissione uno dei tre leader più importanti della campagna elettorale. Avremmo voluto fare lo stesso con Monti e Bersani, ma solo Berlusconi ha avuto il coraggio di accettare, perché ha capito che venire da noi avrebbe avuto un impatto mediatico molto maggiore delle sue solite partecipazioni a Porta a Porta. E da noi si è rivelato quello che è sempre stato, una "simpatica canaglia": mentre gli altri politici risultano sempre spocchiosi e incomprensibili, lui è chiaro e non riesce a risultare antipatico, ma queste sue doti non le abbiamo certo scoperte noi».
Molti commentatori hanno scritto che quella puntata è stata più simile a uno show teatrale che un programma di approfondimento politico. Insomma, che tutto o quasi fosse stato studiato a tavolino prima.
«L'unica cosa che abbiamo chiesto a Berlusconi è di non entrare nel merito dei suoi processi, altrimenti non ne saremmo usciti più. Per il resto, non abbiamo concordato nulla».
Marco Travaglio nel suo nuovo spettacolo "È Stato la mafia" (Ansa).
Nel suo nuovo spettacolo, E' Stato la mafia, in scena a Milano al Teatro dal Verme il 15 e il 16 marzo, in cui, con la collaborazioene dell'attrice Isabella Ferrari, racconta la storia della presunta trattativa fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra dopo le stragi del 1992, cita brani di politici, intellettuali e artisti come Calamandrei, Flaiano, Pasolini, Gaber. Quali sono i più profetici sulla situazione che stiamo vivendo?
«Quelli di un'intervista rilasciata da Sandro Pertini a Nantas Salvalaggio nel 1974 subito dopo il suo insediamento alla presidenza della Camera. Era il periodo dello "scandalo petroli", la prima Tangentopoli italiana. Cito alcuni stralci: "La crisi dei partiti, sovrapponendosi
alla crisi dell'economia, ha gettato il paese in uno stato di malessere
profondo. Perché il problema a mio parere è semplice; non c'è ragione
al mondo che giustifichi la copertura dì un disonesto, anche se
deputato". E ancora: "Poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il
decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un
momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con
la paga decurtata dall'inflazione... voi date quest'esempio
d'insensibilità?" E infine: "Mia moglie si vergognerebbe di andare a Campo de' Fiori a
comprare l'insalata o le pere sul macchinone ministeriale. Sarebbe uno
schiaffo alla povera gente, un abuso di potere, un furto"».
E' fiducioso sul contributo che nuovo Parlamento potrà dare a far luce su quanto resta di oscuro nella nostra storia recente di cui parla nel suo nuovo spettacolo?
«Prima di tutto è giusto che ci siano i processi. Ma a me personalmente non importa tanto che si arrivi alla condanna di qualche vecchio generale. Mi interessa che i tanti che custodiscono segreti e siederanno ancora in Parlamento si decidano a vuotare il sacco. E da questo punto di vista la massiccia iniezione di giovani, provenienti dal Movimento 5 Stelle ma non solo, mi fa ben sperare perché sono molto sensibili a questi temi».
Eugenio Arcidiacono
Berlusconi anche sui monitor della Borsa tedesca (Reuters).
Per esaminare con un minimo di compiutezza il rapporto fra Berlusconi e la tv bisognerebbe tornare alla formidabile intuizione di 35 anni fa, con i primi vagiti di Canale 5. Poi gli acquisti di Italia 1 e Rete 4, il fiuto finanziario dell’imprenditore e il prezioso aiuto politico di Craxi, il processo che ha portato la Rai a una maldestra imitazione, le scelte editoriali – chiamiamole così – che hanno inciso insieme sul costume popolare e sulla vicenda politica, elezioni ben incluse.
Passando quindi dai precedenti all’attualità, non può stupire l’innegabile nesso fra l’uso berlusconiano della tv e l’ultima, clamorosa rimonta nelle urne. Era già avvenuto in altri turni elettorali. La novità è che stavolta l’opposizione, anziché indebolire il candidato del centro-destra, ha finito televisivamente (e numericamente) col dargli una mano.
Berlusconi non ha sfruttato soltanto i suoi canali. Li ha invasi senza limiti di orario ma è potuto dilagare anche su tutte le altre reti, poco importa se amiche, neutrali o di ispirazione contraria. Se qualcuno inizialmente dubitava sull’efficacia di una simile campagna, lo slancio definitivo è venuto da Santoro e Travaglio. Rappresentavano l’inimico, la tana del leone pronto a sbranare. Risultato, fra polemiche e lazzi, i ben noti ascolti da record e titoloni su tutti i giornali, Santoro arruolato d’autorità fra i sostenitori, la tv definitiva protagonista della campagna d’inverno.
Ma questo è stato solo il prologo. Dopo il decollo, ecco il bombardamento a tappeto con avversari che volentieri vi si sottoponevano. Quando più Berlusconi esagerava in promesse elettorali, tanto più il campo ostile ne enfatizzava il contenuto. Ovvio che le definiva furbesche, inattuabili o addirittura criminose. Tuttavia, a forza di insistere, riportava il personaggio a figura centrale della politica italiana. L’opposizione non conduceva una propria campagna. Serviva al rivale come cassa di risonanza. Perfino gli impegni sull’Imu, nati come stravaganza, diventavano realtà.
Non dimentichiamo che dopo la catena di scandali e processi, fino ai quattro anni e mezzo di condanna, Berlusconi sembrava ormai emarginato. Già da tempo i comici e gli autori satirici ne rimpiangevano l’assenza, anch’essi senza capire l’effetto che provocavano. Quando poi l’ectoplasma è tornato a materializzarsi, tutti insieme di nuovo sulle barricate, comici e politici, nella convinzione di riprendere una battaglia di civiltà. E qui è scattato un altro meccanismo, non nuovo ma scioccamente sottovalutato da quelli che lo innestavano.
A forza di sentire in tv che Berlusconi non era altro che un arruffapopoli, per cui – ovvia conseguenza – solo dei minorati potevano votarlo, gli elettori di destra si sono infuriati. Molti stavano cambiando cavallo, ma per reazione sono tornati in sella. Logico. E ripetiamo, non è un evento inedito. Al contrario, sembra inestirpabile la vocazione della sinistra ad attirarsi antipatie. Sul tema sono stati pubblicati dei gustosi pamphlet, grondanti ironia circa la pretesa di avere l’esclusiva di intelligenza, progressismo, nobiltà d’animo, disinteresse. E i reprobi, che magari non ne potevano più di Berlusconi, si sono offesi. Meglio lui dei duri e puri, così arroganti eppure scossi anche loro da ruberie, ambigui padroni di banche sotto processo.
Sul Cavaliere e sui suoi comportamenti, pubblici e privati, la nostra opinione resta quella espressa negli anni, non positiva per mille ragioni. Ma una sinistra incapace di combatterlo, al punto di cedere a Grillo la bandiera del malcontento, non meritava di vincere.
Giorgio Vecchiato
Giorgio Simonelli, docente di Storia della radio e della televisione alla Cattolica di Milano e opinionista del programa di Raitre "TvTalk".
Dalle parti di Santoro & Co. guai a dire che Servizio pubblico, nella famosa puntata del 10 gennaio scorso, ha tirato la volata alla (mezza) rimonta di Silvio Berlusconi. Eppure, secondo Giorgio Simonelli, docente di Storia della radio e della televisione all'Università Cattolica di Milano e opinionista del programa di Raitre TvTalk, dal punto di vista comunicativo il duello-duetto tra i due "fratelli coltelli" resta uno dei momenti clou della campagna elettorale.
Perché ha spostato voti a favore del Cavaliere?
«Questo non lo so, è difficile quantificare. Sicuramente però in quell'occasione Berlusconi, che tutti ormai davano per spacciato, è apparso di colpo né rassegnato né bollito. Si è galvanizzato e ha galvanizzato anche i suoi sostenitori. È evidente che Santoro, più di tutti gli altri giornalisti, ha "costruito", dando il là decisivo, la campagna elettorale del leader del Pdl. Altri, come Ilaria D'Amico su Sky o Enrico Mentana su La7, invece hanno ingabbiato Berlusconi che non ha potuto recitare fino in fondo, e come voleva, il ruolo istrionico, tutto votato all'attacco, che sfodera puntualmente in ogni campagna elettorale».
Il miglior sponsor di Silvio, quindi, s'è rivelato il suo nemico giurato?
«Sicuramente gli ha tirato la volata, questo sì».
Questa campagna si è tutta giocata in Tv e alla fine ha vinto Beppe Grillo che sul piccolo schermo non si è mai visto. È un segnale che la Tv sta perdendo potere?
«La televisione funziona sempre a medio-lungo termine, non credo affatto che sposti il consenso nel breve periodo. Gli elettori di Pd e Pdl che hanno votato il Movimento 5 Stelle hanno maturato questa decisione in diversi mesi, se non anni, e non certo negli ultimi giorni di campagna elettorale o dopo aver assistito a un talk show. Il caso Grillo, però, è diverso, più particolare».
In che senso?
«Grillo è stato coerente nella sua incoerenza. Prima ha annunciato di andare su Sky per rilasciare un'intervista e poi ha fatto dietrofront. Per un politico che dice una cosa e poi ne fa un'altra questo è un boomerang che ne intacca la credibilità, specie in campagna elettorale. Lui, invece, ha giocato tutto sull'equivoco "non vado in Tv" ma alla fine, con questo atteggiamento, ha stuzzicato tantissimo l'interesse dei media, dalla Tv a Internet, e le sue parole hanno avuto un'eco straordinaria».
Veniamo agli altri leader. Bersani è stato accusato di non aver saputo comunicare un'idea forte del suo programma. È d'accordo?
«Credo che il leader del Pd si sia addormentato sugli allori dei sondaggi favorevoli e abbia "seguito" un po' troppo il personaggio inventato due anni fa da Maurizio Crozza. Bersani ha assunto come atteggiamento "politico" molti elementi della parodia che il comico ha fatto su di lui pensando che gli facesse gioco e scattasse presso i cittadini una sorta di "effetto simpatia". Il tormentone sul giaguro da smacchiare, ad esempio, viene da qui. Alla fine, però, è rimasto schiacchiato tra l'iperattivismo di Berlusconi, da un parte, e la tranquillità di Mario Monti, dall'altra».
Non ha trovato un ruolo, insomma.
«Per usare una metafora calcistica, Berlusconi ha giocato all'attacco, Monti in difesa, facendo anche molto catenaccio, e Bersani alla fine non sapeva più che spazio ritagliarsi».
E Monti, invece, come lo giudica?
«Ha commesso il gravissimo errore, imbeccato anche dai consulenti americani, di trasformarsi ad un tratto da uomo pacato, moderato e professorale a uno che attaccava gli avversari, faceva gaffe, alcune delle quali di pessimo gusto come la battuta sulla statura di Brunetta, o andava in Tv per mostrare il suo cagnolino. Si vedeva che recitava un ruolo non suo ed è apparso profondamente in imbarazzo».
Qual è l'immagine simbolo di questa campagna?
«Ne scelgo due: Berlusconi ospite da Santoro e Beppe Grillo che ad un comizio in piazza viene palleggiato dai suoi sostenitori come se fosse una rock star».
Antonio Sanfrancesco
Carlo Freccero, grande conoscitore dei segreti della televisione (Ansa).
Carlo Freccero non sopporta le semplificazioni. Il direttore di Rai4, il docente universitario che ha appena pubblicato il saggio Televisione (Bollati Boringhieri), preferisce riflettere, distinguere e di tanto in tanto provocare, specie su un tema che conosce benissimo come il rapporto fra Berlusconi e la Tv, avendo lavorato per le sue reti, in Italia e all'estero, per molti anni.
Partiamo dall'apporto che comici a lui "ostili" come Roberto Benigni e Maurizio Crozza avrebbero dato alla clamorosa rimonta di Silvio Berlusconi e del Pdl. Ecco la prima distinzione: «Roberto Benigni ormai è un po' come Napolitano, è un comico "istituzionale", al di sopra delle parti. Sì, ha fatto precedere la sua lettura dei primi articoli della nostra Costituzione da un monologo che ha avuto in larga parte come protagonista Berlusconi, ma è sembrato quasi come un ricordo al suo passato di giullare e quindi del tutto ininfluente ai fini del dibattito politico. Su Crozza, invece, il discorso è diverso anche se le conclusioni non cambiano. Bisogna partire da una premessa: la satira agisce su chi ha una visione conformistica della realtà e quindi attaccare il probabile perdente a una competizione elettorale può spingere qualche indeciso a non votarlo. Ma chi guarda Ballarò è una persona che ha di solito una sua precisa opinione politica e quindi, sia fra chi faceva il tifo per Berlusconi sia tra i suoi avversari, i monologhi di Crozza al massimo hanno solo sortito l'effetto di rafforzare le proprie convinzioni, non di mutarle».
Crozza, però, si è esibito anche a Sanremo, di fronte cioè a una platea di pubblico molto più larga e composta anche da gente che normalmente non si interessa o si interessa poco di politica. In quel caso, l'effetto non potrebbe essere stato diverso?
«E' vero, il contesto è stato radicalmente diverso, ma le contestazioni che Crozza ha ricevuto hanno raffreddato la forza comica del suo monologo e quindi la sua forza persuasiva, in una senso o nell'altro. Può aver rafforzato le convinzioni di chi era orientato già a votare per Berlusconi, ma l'impatto secondo me è stato minimo. Discorso diverso invece va fatto per un altro personaggio imitato da Crozza quella serata: l'ex giudice Antonio Ingroia. Essendo in pratica sconosciuto a una gran parte del pubblico, l'imitazione credo abbia avuto un impatto devastante sulla sua immagine».
La partecipazione di Berlusconi a Servizio Pubblico di Michele Santoro l'ha invece avvantaggiato?
«Gli altissimi ascolti hanno dimostrato che quel programma è stato vissuto dagli italiani come una finale di Champions League, come un match fra due campioni atteso oltre dieci anni, cioè dal famoso "editto bulgaro". Santoro è stato abilissimo a evitare l'incidente, cioè che Berlusconi se ne andasse, incalzandolo con domande anche molto dure ma costruendo tutta la serata in una cornice da commedia. In questo modo Berlusconi ha potuto affrontare le domande più scomode o non rispondendo o non prendendole sul serio. Insomma, ha potuto fare ciò che gli riesce meglio: lo spettacolo, esemplificato dalla memorabile scena di lui che spolvera la sedia di Travaglio. In questo modo, dopo giorni e giorni in cui veniva dileggiato sui giornali e su Internet, è riuscito a riportare la Tv generalista al centro della competizione elettorale e quindi a ridare normalità ai suoi discorsi paradossali. La discussione, che con il governo Monti e poi con le primarie del Pd, aveva fino a quel momento come parametri la serietà, l'affidabilità, la credibilità, che non sono quelli tipici della Tv generalista, dove agiscono altri registri come la simpatia e l'antipatia personale. E Berlusconi, è inutile dirlo, è imbattibile nel manipolare questi registri a suo vantaggio. Quindi non c'è dubbio che abbia tratto vantaggio dalla sua partecipazione a Servizio pubblico, ma non si può "incolpare" Santoro di questo. Lui si è comportato da giornalista, che nel suo lavoro non deve seguire criteri di opportunità politica: aveva la possibilità di organizzare una serata che poteva fare il boom di ascolti. L'ha colta e ha saputo sfruttarla in pieno».
Heinrich Böll (Ansa).
"Detesto spiegare una metafora. O mi si capisce, oppure no". Lo dice il clown protagonista del famoso romanzo (Le opinioni di un clown, 1963) di Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura nel 1972. A quanto pare gli italiani hanno scelto "oppure no". Nel senso che tutti gli attacchi, le ironie, le battute pungenti, le critiche sferzanti, le accuse martellanti hanno ridato energia non tanto al Cavalier Berlusconi, che energico lo è stato sempre, ma ai suoi sostenitori. Il che, per gli avversari politici del PdL, è pure peggio.
Ora la storia si ripete ma in salsa internazionale. Peer Steinbrück, leader del Partito socialdemocratico tedesco e candidato alla carica di cancelliere contro la Merkel alle prossime elezioni politiche (ottobre 2013), si gioca l'incontro con Napolitano dicendo: "Sono inorridito dalla vittoria di due clown nelle elezioni italiane". E l'Economist inglese ribadisce con un "Entrino i clown" a tutta copertina sopra le immagini di Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.
L'effetto dei sarcasmi esteri sarà, con ogni probabilità, un ulteriore aumento delle simpatie interne per i due sbeffeggiati. I quali, peraltro, hanno condotto tutta la campagna elettorale contro la cattiva Europa dell'austerità e delle tasse, contro la pessima Merkel dell'imperialismo economico tedesco, contro gli europeisti filogermanici (almeno nella loro narrazione) di Monti, affamatori del popolo italiano. Come si permettono, inglesi e tedeschi, di trattarci così? Chi si credono di essere? Forse che non li battiamo regolarmente a calcio?
D'altro canto, con i politici si fa come coi figli. Noi possiamo criticarli fino allo sfinimento (loro), ma gli altri sono pregati di tener giù le mani. Verso l'esterno i nostri figli sono perfetti. Sempre e comunque. Applicata alla politica, la regola produce anche effetti imprevisti. Perché Grillo, che fino a ieri chiamava Napolitano "o' guaglione" (non per fargli un complimento), oggi pubblicamente lo elogia, respingendo in modo implicito la qualifica di clown anche per quel Berlusconi che veniva da lui regolarmente definito "lo psiconano". E viceversa. E che dire di Bersani, che deve sganciarsi dai frizzi esteri per non passare da esterofilo anti-italiano, senza però smentire tutto ciò che ha detto (per non parlare di ciò che pensa, e che gli si legge chiaramente in viso) sul Cavaliere e sul leader del Movimento 5 Stelle? Pensiamo anche a noi stessi: non abbiamo detto che di questi politici bisognava fare polpette una volta per sempre? Ed eccoci costretti, in nome per conto loro, a difendere il confine dal subdolo attacco delle potenze del Nord Europa.
Resta da vedere chi alla fine avrà avuto ragione. E questo, purtroppo, lo scopriremo solo vivendo. Perché già una volta l'Economist fece un titolo su Berlusconi che diceva: "Inadatto a governare". Forse fu sfortuna ma finì con il Cavaliere, titolare della più ampia maggioranza parlamentare della storia della Repubblica, costretto a dimettersi con la gente che festeggiava per strada. Accusato, tra l'altro, non tanto di mal governo ma di non governo.
Questo per dire che certe ironie contengono, anche, un messaggio che bisogna saper prima leggere e poi magari neutralizzare. Come le vicende di Berlusconi insegnano, comunque, meglio essere criticati che ignorati. Il clown del romanzo di Böll a un certo punto dice: "Prendo le cose come vengono, conto sul lastrico". Ecco, questo no, per favore.
Fulvio Scaglione