«Voi, che vivete sicuri nelle vostre tiepide case», ci apostroferebbe Primo Levi, «che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici». Voi, che nel confort del vostro letto non sapete cosa significa dormire sul polistirolo perché un razzo ha colpito la vostra casa, aggiungerebbe Ihor. Voi, che il viaggio più lungo che avete fatto è stato per andare in vacanza, e non per scappare in Turchia a cercare rifugio, direbbe Vitaly. Voi, che i fuochi di artificio li associate al Capodanno, e non ai bombardamenti delle 4 di notte, griderebbe Valentina. Noi, che a differenza di Ihor, Vitaly, Valentina e molti altri, siamo al riparo dai missili russi.
Sono passati due anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, eppure il fuoco di Putin non accenna a cessare. Nel cuore dell’Europa, bombe e proiettili continuano a piovere senza sosta, distruggendo poco a poco i sogni e la realtà di chi - per scelta o per forza - è rimasto a vivere nei territori vicini al fronte. Come Nataliia Kavetska, 34 anni, tornata nel suo Paese dopo un intervallo di otto mesi trascorsi in Italia insieme al figlio. «A Leopoli conducevo una vita molto bella», racconta. «Avevo una mia azienda e mi occupavo della confezione dei vestiti. Ci è bastato un giorno per capire che la guerra era davvero iniziata e che era vicina. Sono scappata in Italia, dove ho trovato subito un lavoro come mediatrice linguistica con WeWorld, all’interno del loro Spazio Donna di Milano. Quando però ho ricevuto una proposta di lavoro in Ucraina, ho capito che volevo fare qualcosa per il mio Paese: anche se tutti mi hanno sconsigliato di tornare, io l’ho fatto lo stesso, per lavorare come consigliera della Ministra dei Servizi sociali. Ad oggi ci sono ancora tanti bombardamenti e la zona è molto pericolosa, eppure sono contenta, perché sento di aver fatto una scelta giusta».
La vita quotidiana, naturalmente, è cambiata, e non solo per Nataliia. Le scuole sono chiuse o distrutte, l’accesso all’acqua potabile è limitato o addirittura impossibile a causa del danneggiamento delle infrastrutture idriche, mentre le cure mediche si rivelano complesse da ottenere per via di ospedali ridotti a brandelli o dei difficili spostamenti da una zona all’altra. «L’economia reale è pesantemente piegata dal conflitto», conferma Guido Manneschi, rappresentante Paese per WeWorld in Ucraina, che da aprile 2022 si trova sul posto. «Chi vive vicino alla linea del fronte o al confine con la Russia ha molteplici bisogni: in alcuni villaggi le case sono state distrutte dal conflitto lasciando tante persone senza un posto dove vivere e una situazione economica devastata».
Gli allarmi aerei sono all’ordine del giorno, e quando suonano i posti dove rifugiarsi non sono tanti: in cantina se si è in casa, nella metropolitana se si è in giro. «Una volta gli allarmi sono scattati mentre mio figlio era a scuola e i telefoni non funzionavano», ricorda ancora Nataliia. «Non sapevo come rintracciarlo. Non potevo fare nulla, solo pregare. Da quel giorno ho spiegato a mio figlio cosa fare se, in caso di allarme, non siamo insieme. Adesso abbiamo scelto in posto dentro la metro dove incontrarci».
Che a rimetterci sono (e saranno) soprattutto i bambini, d’altronde, è un’altra delle beffarde conseguenze di una guerra fatta dagli adulti. La paura dei bombardamenti e il PTSD (disturbo post-traumatico da stress) non riguarderanno infatti solo i combattenti, ma anche la popolazione civile e specialmente i più piccoli, privati della sicurezza di una normale quotidianità. «La scuola ha un ruolo fondamentale per la socialità, oltre che per l’educazione», spiega Manneschi, «ma in alcune aree del Paese non c’è nemmeno più un tessuto sociale, che si è disgregato a causa dello sfollamento. L’esposizione alla violenza, inoltre, può creare traumi che vengono poi riportati in famiglia e nella società: sarà un problema se le persone si reinseriscono in un contesto che non può mitigare le conseguenze di questo conflitto».
Anche se scorci di stabilità sono ravvisabili in alcune aree dell’Ucraina, la situazione generale rimane difficoltosa e preoccupante, soprattutto nelle zone vicine al confine russo. Come altre organizzazioni che hanno deciso di non voltare le spalle alla sofferenza della popolazione, WeWorld è rimasta nel Paese, con lo scopo di portare aiuto umanitario e supporto psicologico, lavorando per garantire l’accesso ad acqua pulita e potabile, servizi sanitari e igiene. «Siamo impegnati nella riabilitazione di strutture come serbatoi idrici a torre, servizi igienici, sistemi di filtraggio dell’acqua e impianti idrici in centri medici e di riabilitazione, dove forniamo anche kit per pulire», spiega ancora il Rappresentante Paese. «Supportiamo finanziariamente i cittadini e le cittadine che hanno visto la propria casa distrutta dal conflitto; persone che per motivi di sicurezza hanno bisogno di cambiare casa o che hanno bisogno di spostarsi per ricevere assistenza medica, e garantiamo supporto psicosociale soprattutto a donne e bambine. Fondamentale, poi, è la sensibilizzazione sulle mine e gli ordigni inesplosi: ce ne sono a migliaia nel Paese e per questo educhiamo tutti a saperli riconoscere e segnalare».
Presente da oltre 50 anni in 27 Paesi del mondo, WeWorld è attivo assieme ai suoi partner nelle zone di Kyiv, Kherson, Mykolayiv e Kharkiv. A guidarlo è la speranza che la crisi collettiva del popolo ucraino venga fermata al più presto, per evitare il rischio che la nazione non si alzi più. Per evitare di chiedersi, di fronte a un soldato spaventato o a un bambino traumatizzato, «se questo è un uomo».
(Foto in alto, di Alessandro Parente: un'immagine di Ilhor)