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lunedì 14 ottobre 2024
 
 

E ora il Tour de France parla inglese

22/07/2012  Bradley Wiggins è il primo ciclista britannico a conquistare la vittoria alla "Grande Boucle". La sua squadra, Sky, ha sempre tenuto testa in tutte le tappe.

Bradley Wiggins è diventato il primo inglese, anzi britannico vincitore del Tour de France (nel 1987 la maglia gialla era stata di Stephen Roche - fra l’altro in quell’anno vittorioso anche nel Giro d'Italia -, irlandese ma dell'Eire). Ha 32 anni, è nato in Belgio, a Gand, dal papà ciclista itinerante dei velodromi è stato messo in pista a dodici anni. Wiggins pistard spilungone ha vinto fra l’altro tre medaglie d’oro olimpiche (Atene 2004 inseguimento individuale, Pechino 2088 inseguimento individuale e a squadre), ha collezionato successi mondiali, podi e piazzamenti. Ha gareggiato anche su strada, fra l'altro vincendo spesso a cronometro, ma soltanto negli ultimi anni ha messo da parte, saziatissimo, il se stesso pistard e, convinto dai tecnici ma soprattutto ispirato da un suo sogno (primo del suo Pese a vincere il Tour, toh), si è dato in pieno alla strada seguendo un piano di riconnotazione dello sforzo: nel senso che ha continuato sì a dare molte pedalate, ma intanto sotto di lui è cambiata la bicicletta, sono cambiati i rapporti, sono cambiati gli pneumatici, e intorno a lui è cambiato il ciclismo tutto.


Di suo ha cambiato l’allenamento specifico per il Tour, solo corse a tappe, niente in linea, e l’alimentazione (dieci chili in meno), intanto che ha badato ad andare avanti nella sua solita vita contadina nella campagna inglese, con moglie e due figli. Wiggins, burbero ed essenziale, sincero e battagliero, è la risposta a chi nel nome della specializzazione ha costretto, per tanti anni, il ciclista a fare questo e non quello, insomma a sentirsi irrimediabilmente tipicizzato, e se pistard condannato a restar tale.

Una volta provammo a dire ad uno sprinter celebre e tipico, lo spagnolo Miguel Poblet, che se lui aveva vinto al Giro d'Italia una cronoscalata questo doveva significare che se si spinge sui pedali si va avanti eccome, indipendentemente anche dal fatto che la strada sia in salita, e magari senza bisogno di essere dei piccoletti: ci disse che il suo era stato soltanto un caso. Adesso viene da pensare a quanto talento ciclistico in apparenza soltanto pistaiolo è stato buttato per strada, anziché gettarlo anche sulla strada: e purtroppo non è un gioco di parole. Wiggins, che si era presentato al via del Tour come favorito, dopo avere vinto in questo 2012 la Parigi-Nizza, il Giro di Normandia e il Giro del Delfinato, ha dominato la corsa favorito anche dai più di 100 chilometri a cronometro regalatigli dagli organizzatori.


La sua squadra, la Sky, ha tenuto tutto e tutti in pugno, a cominciare dall’australiano Cadel Evans vincitore nel 2011, fra l’altro conquistando quattro tappe con Mark Cavendish, inglese ed ex pistard pure lui, per il quarto anno consecutivo primo nello sprint di Parigi, stavolta in maglia di campione del mondo 2011, proclamato ormai il più grande sprinter stradaiolo di ogni tempo, superfavorito per la gara olimpica di sabato prossimo in programma nel secondo giorno dei Giochi di Londra 2012. Cavendish, al quale la volata ultima è stata tirata dal supergregario Wiggins in maglia gialla!

Wiggins soprattutto ha gestito bene il delicato rapporto in squadra con Christopher Froome, avi inglesi, nato in Kenya nel 1985 e cresciuto in Sudafrica, britannico dal 2007 dopo avere corso da giovanissimo come cittadino kenyota, suo compagno e amico e rivale. Froome, battuto a priori a cronometro, in almeno due tappe di montagna, ha dato l’impressone di potere staccare Wiggins, e di non averlo fatto perché ammonito via radio dalla sua ammiraglia. E’ lui, diremmo automaticamente, il favorito del prossimo Tour, un Tour de France che dunque dovrebbe continuare a parlare quell’inglese parlato imposto quest'anno anche dal vincitore del Giro d'Italia, il canadese Ryder Hesjedal (e Evans maglia gialla 2011 è australiano ergo anglofono pure lui).


Grande Wiggins scatenato, grande Froome un po’ frenato, ottimo Vincenzo Nibali, il nostro siciliano solido e sereno che realisticamente puntava al podio ed al podio è arrivato, terzo a Parigi dopo i due imbattibili , che ha attaccato in salita facendo sì che nell’insieme questo Tour, sin troppo rispettoso dei pronostici, non sia risultato un bel po' noioso, che ha 28 anni e magari riuscirà a diventare l'italiano in maglia gialla a Parigi, l'"eroe" allacciabile al Marco Pantani dell'ormai lontano 1998. Per il resto il nostro ciclismo non ha conquistato tappe (Petacchi, 38 anni, ha fatto il massimo, un secondo posto in uno sprint; la vittoria ci manca dal 2010), non è stato in classifica se non con Nibali (Scarponi ha deluso), non ha messo avanti qualche giovane (a parte Daniel Oss, se si vuole) per quel futuro che i francesi invece sembrano avere un po' meglio prenotato, con Pinot e Rolland e Voeckler miglior scalatore al Tour, impegnati a dare al loro Paese un successo finale che manca dal 1985 di Hinault.

Abbiamo già scritto del Tour cambiato, inglesizzato o meglio britannizzato, e ora diciamo del ciclismo tutto che si sta mondializzando. Wiggins è un valore fisso, un uomo da classifiche alte, sempre, niente che vedere con quello che sinora era stato il pedalatore inglese suo predecessore più celebre, quel Tommy Simpson che nell’ormai lontanissimo 1967, dopo avere conquistato la maglia iridata ed avere dato persino l’impressione di poter essere il primo britannico in giallo a Parigi, morì di doping, solleone e cognac pedalando sulle pendici del Mont Ventoux, il Monte Ventoso cantato da Francesco Petrarca.

Non risulta che il pensiero di Wiggins sia volato così indietro. Il nuovo ciclismo sverna e corre in Qatar come in Australia e in Sudafrica, dopo Froome africano bianco aspetta i primi africani neri, poi gli asiatici. I ciclisti risiedono a Montecarlo per ragioni fiscali, pedalano per petrolieri russi, per magnati internazionali, nel caso di Wiggins e dei suoi per la grande editoria televisiva che sponsorizza la squadra. Sulle strade del Tour c'è sempre la Francia contadina, ma ormai il turismo sportivo porta, a fare siepe umana sempre impressionante, legioni di inglesi, statunitensi, canadesi, tedeschi, in aggiunta ai tradizionali spagnoli e belgi e olandesi e svizzeri (pochi gli italiani, "viziati" dai loro grandi del passato, Bartali e Coppi ma anche Nencini e Gimondi, Moser e Bugno, Chiappucci e Pantani, oh Pantani).


Il ciclismo italiano, come quello belga e quello francese, insomma il ciclismo della Trimurti di Paesi che hanno dettato legge sino a Eddy Merckx, si rallegra di un sicuro meritatissimo terzo posto (bellissimo, ma non è peccato mortale dire che si può fare persino di meglio: fra l’altro Nibali ha avuto a disposizione nella Liquigas di un grosso gregario come Ivan Basso) ottenuto da un suo coraggioso/talentuoso corridore, l'unico pedalatore fra quelli attualmente in attività a essere salito sul podio del Giro italiano (terzo nel 2010, secondo nel 2011), del Tour francese e della Vuelta spagnola (primo nel 2010). E intanto può e deve festeggiare uno slovacco di stipendio nostrano (Liquigas) e di ottima parlata nella lingua di Dante con accento veneto (vive a Castelfranco) che si chiama Peter Sagan, ha ventidue anni, conquista la maglia verde della classifica a punti, vince tappe (tre, e il secondo posto nell’ultimo sprint) e fa le gag di un Valentino Rossi, e noi chiamiamo Peter Pan perché anche grazie anche a lui, "figlio" nostro, stiamo un bel po' nella favola sempre bella del ciclismo.

 
 
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