Quando si vendono più di 120
milioni di copie in tutto il
mondo con libri d’avventura,
vuol dire che si è capito
tutto dei gusti dei lettori. È
il caso di Wilbur Smith, lo
scrittore nato nello Zambia
(ma allora, nel 1933, si chiamava
ancora Rhodesia), che ha appena
sfornato un altro volume capace di diventare
in poche settimane il bestseller
della stagione. Stavolta Smith è tornato
all’antico Egitto, con Il Dio del deserto,
in cui ripropone uno dei suoi personaggi
più celebri, l’eunuco Taita.
A Wilbur Smith chiediamo perché è
voluto tornare, a sette anni di distanza,
all’antico Egitto e a Taita.
«La storia di Taita è sempre nella
mia mente. C’è voluto un po’ di tempo
per lavorare al nuovo progetto ma ho
tanti altri personaggi, altre storie, che
attendono. Ogni personaggio ha un suo
tempo e un suo luogo, perché penso al
mio lavoro come a una specie di progetto
in evoluzione continua».
Mi pare che Taita sia il suo personaggio
preferito...
«Be’, questo potrebbe essere un po’
esagerato, ma mi sento molto legato a
lui; è l’unico “io narrante” dei miei libri.
Mi racconta la storia attraverso i
suoi occhi e mi piace perché è un personaggio
complesso: è stato evirato e,
dunque, ha un modo di pensare differente
da tutti».
Qual è il segreto per piacere ai lettori
con una storia che si svolge in un
passato lontano? «Penso che alcune persone possano
farci “vivere” nel passato. Mi sono sempre
piaciuti i libri di storia e credo di
avere sviluppato una tecnica di scrittura
tale da farmi sentire come se fossi
presente proprio in quel particolare momento,
quello che racconto. Questa è
una delle qualità che fanno di una persona
un romanziere. Non credo di essere
l’unico, ma ho seguito l’esempio e ho
studiato le tecniche di altri prima di me
e ho imparato da loro. Non scrivo la Storia,
scrivo storie di persone. Dopo tutto,
gli uomini non sono cambiati molto in
migliaia di anni».
Quali scrittori ammira di più?
«Mi piace scoprire nuovi giovani
scrittori, come Conn Iggulden, Charles
Christian, David Thomas, ed è sempre
emozionante constatare quando un autore
riesce a raccontare una bella storia
con il tocco magico della scrittura. Ma
se penso agli scrittori che ho letto da ragazzo,
allora citerò H. Rider Haggard e
John Steinbeck. Avevano proprio quel
tocco di magia. Anche oggi ci sono nuovi
scrittori che vogliono sfondare. Il
mio cuore è con loro. Scrivere è un lavoro
duro, ma se ci si riesce è il miglior
modo di esistere a questo mondo».
I suoi romanzi piacciono ovunque
e lei è uno degli autori più venduti.
Cosa significa questo in termini di
creatività? Si diventa una “macchina”
che produce successo o resiste la libertà
di scrivere solo se vengono le idee?
«Ho 82 anni e negli ultimi dieci, di
tanto in tanto, ho avuto l’idea di smettere.
Ho detto a mia moglie: “Penso di
aver fatto abbastanza; ho intenzione di
andare in pensione”. Lei mi ha guardato
e mi ha detto: “Tu vuoi continuare a
uno scrittore, scrivi. Se non scrivessi, morirei. Tutto ciò che si fa con passione non può finire se non assieme a quello che si fa. Mi piace scrivere e quando sto realizzando un nuovo libro provo un piacere unico nel suo genere».
Quanto tempo dedica alla scrittura?
«La settimana scorsa ho scritto dalle sei alle otto ore al giorno, compresala domenica».
Il piacere di leggere i suoi romanzi è lo stesso in tutto il mondo? Un lettore italiano e uno del Sudafrica apprezzano i suoi libri allo stesso modo?
«Dipende dalla traduzione, ma credoche al centro della storia vi sia la storia stessa. In genere scrivo di persone credibili che svolgono azioni credibili, anche se difficili o particolari. L’arte di un buono scrittore dovrebbe raggiungere i lettori in qualsiasi lingua».
L’Italia è un Paese che ha mostratomolto affetto per lei e Milano l’annoscorso le ha donato la cittadinanzaonoraria. Che rapporto ha con l’Italia?
«Adoro il vostro Paese! Amo gli italiani,così differenti dalla maggior parte degli europei. Se li si confronta con i tedeschi, per esempio, c’è una differenza netta. Amo le menti taglienti, il grande senso dell’umorismo che avete. Voi ridete facilmente e mi piace la libertà che esprimete. Una volta ho visto un ragazzo che camminava in strada cantando l’aria di un’opera ma nessuno lo notava. Mi piacciono il cibo e la musica italiana, così come la moda. In Italia misento a casa mia. Inoltre, avete il senso della storia e della cultura. In Inghilterra indossavano pelle di animale quandoi Romani erano già persone civilizzateche governavano il mondo».
Ha già iniziato a scrivere la prossima avventura?
«Sì. Ho due storie in cantiere. Perme la cosa importante non è la fine, ma l’inizio. Amo scrivere, per me non è un lavoro duro. A volte, quando finisco un libro mi sento triste, e allora sono subito impaziente di iniziare una nuova avventura. Però non mi piace parlare diquello che ho intenzione di fare. Preferisco presentarmi con un libro finito e poterdire “Questo è quanto, questa è lamia storia finita”».