Nell’ultimo rapporto sulle agromafie elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura tra le “storie italiane” c’è un capitolo dedicato allo «strano caso della xylella fastidiosa» in Puglia. È il batterio, in lista da quarantena sul territorio europeo e nativo delle Americhe, che sarebbe la causa, probabilmente non l’unica, del disseccamento rapido degli olivi. Si propaga tramite alcuni insetti vettori, le cicale sputacchine, che “pungono” il tessuto delle piante per nutrirsi fino a ostruirne i vasi xilematici e farle morire. L’epicentro del focolaio viene individuato nelle campagne tra Gallipoli e Alezio, nel Salento, in provincia di Lecce. Qualche settimana fa il governo invia la Protezione Civile e nomina un commissario straordinario, il capo della Forestale pugliese Giuseppe Silletti, per l’avvio di un piano operativo che prevede l’eradicazione degli alberi infetti e l’uso “mirato” di diserbanti e antiparassitari. Da Bruxelles il diktat che arriva è chiaro: sradicare, e in fretta, gli ulivi malati.
L’allarme scoppia ufficialmente nel 2013. Ma c’è un antefatto che risale all’ottobre 2010 quando presso la sede dell’Istituto Agronomico Mediterraneo (IAM) di Valenzano (Bari) si svolge un workshop di studio su alcune malattie delle piante tra cui spunta anche quella causata dal batterio di xylella del quale viene portato fisicamente un campione.
È a questo convegno che si fa esplicito riferimento in diversi esposti presentati da alcune associazioni ambientaliste. Perché una patologia fitosanitaria è finita in un rapporto sulle agromafie? È ancora presto per dirlo. Da un anno su questa vicenda indaga la Procura di Lecce. Il reato ipotizzato è “diffusione colposa di malattia della pianta”.
A coordinare l’inchiesta è il sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone, a capo del pool sui reati ambientali. L’abbiamo incontrata nel suo studio al terzo piano di Palazzo di giustizia.
«Continuano ad arrivare esposti i quali non sono destituiti di fondamento», dice subito, «la situazione è complessa, le zone d’ombra da diradare numerose e il tempo a disposizione è poco. Allarma comunque la fretta con cui si vuole intervenire in maniera così invasiva e distruttiva su un territorio che negli ultimi anni è stato svenduto, dalla cementificazione selvaggia al business del fotovoltaico fino a quello delle biomasse».
Il sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone coordina il pool della Procura di Lecce che indaga sui reati ambientali
Ad oggi, in base a quanto emerso dall’inchiesta, si può affermare che la xylella sia la causa unica o prevalente del disseccamento?
«No. Il fatto che gli alberi d’ulivo presentino segni di disseccamento e muoiano per disseccamento non vuol dire che questo fenomeno sia prodotto dalla xylella. Allo stato attuale questo non è stato ancora dimostrato».
Perché allora l’allarme, il piano operativo d’intervento e la comunicazione è stata tutta incentrata, fin da subito, sul batterio “xylella fastidiosa”?
«Sicuramente c’è stato un orientamento e un’informazione ben precisi in tal senso a cominciare dal workshop tenutosi a Bari nel 2010. A uno dei partecipanti ho posto la domanda sul perché si fosse organizzato un convegno di questo tipo dal momento che non risultava, all’epoca, che il nostro territorio fosse affetto da questo batterio. Da qui si è gridato all’allarme europeo e al pericolo xylella per tutto il bacino del Mediterraneo. Ma di quale allarme stiamo parlando? In Spagna non risulta che ci sia nulla, in Grecia e in Francia lo stesso. Un fatto è certo: per motivi di studio è stata concessa una deroga al divieto di introdurre sul territorio italiano germi patogeni. Peccato però che l’abbiano introdotti in un luogo nel quale io non posso andare a indagare».
Cosa significa?
«L’Istituto agronomico mediterraneo, dove si è svolto il workshop del 2010, gode per legge di immunità assoluta. E questo è un caso pressoché unico nello scenario europeo e forse mondiale. Già la legge 13 luglio 1965 n. 932, con cui l’Italia ha ratificato l’accordo con l’Europa per l’istituzione del Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici Mediterranei, introduce una serie di privilegi e immunità per lo IAM in base ai quali l’autorità giudiziaria italiana non può violare il domicilio dell’istituto, non può effettuare sequestri, perquisizioni o confische. Non solo, se la ricerca e lo studio effettuati nella sede dello IAM vengono portati all’esterno del territorio, godono anch’essi di immunità assoluta, a meno che non sia lo stesso IAM a rinunciarvi. Sicchè, pur avendo il Ministero autorizzato l’introduzione di germi patogeni a scopo di sperimentazione presso il predetto istituto, nessuna verifica contemporanea o postuma può essere effettuata da chicchessia sulla correttezza dei metodi usati nella sperimentazione».
Secondo alcune dichiarazioni il batterio da xylella sarebbe arrivato dal Costa Rica.
«Anche questo non si può affermare con certezza perché in quel Paese dovrebbe esserci la stessa sottospecie di xylella pauca che è stata rinvenuta sugli ulivi in Puglia. Dovrebbe esserci un luogo di provenienza ben preciso che ad oggi non risulta essere stato individuato. Diversamente, se la xylella è endogena e si trovava già qui, allora non avrebbero senso le massicce misure che sono in programma. Se è stata importata, bisogna sapere da dove e da chi».
L’inchiesta si concentra solo su quel convegno?
«No. Nel 2013, tre anni dopo quel workshop, esplode l’allarme mentre nel frattempo aumentano le segnalazioni di disseccamento degli ulivi. Cosa è stato fatto in questo lasso di tempo per contrastare il fenomeno? Gli istituti preposti al controllo del territorio dal punto di vista agronomico e fitosanitario quali decisioni hanno preso. La mia inchiesta sta andando nella direzione di capire se, e da quanto tempo, le autorità preposte fossero al corrente del fenomeno del disseccamento e quali misure hanno adottato in concreto. Una cosa è certa: se di xylella si tratta, c’è stato un enorme ritardo nel contenimento. Le prime segnalazioni di disseccamento risalgono al 2011, probabilmente anche al 2008-2009. Ammettiamo che questi episodi non siano stati notificati all’Osservatorio fitosanitario regionale o al Cnr prima del 2011. Ma da questo momento in poi cosa è stato fatto?».
Le soluzioni indicate, fin da subito, sono state disinfestazione ed eventuale eradicazione.
«Bisogna sapere sulla base di quali ricerche e studi scientifici è stata diramata la nota regionale del febbraio scorso e poi il piano approntato da Silletti e presentato al Governo relativa alle migliori pratiche per combattere o arginare la xylella. Come si fa a dire che l’uso massiccio di diserbanti e pesticidi – i cui principi attivi, prodotti da multinazionali, sono indicati puntualmente nella nota – è efficace per combattere xylella? Questa disinfestazione a tappeto sul territorio sarebbe anche peggiore dello sradicamento degli alberi per le conseguenze che avrebbe sull’ambiente e la salute dei cittadini. Se irroriamo di pesticidi tutte le zone colpite dal disseccamento non è più pensabile assumere poi cibo proveniente da quelle zone. Le faccio un esempio. Di recente, in un’indagine, ho sottoposto ad analisi una partita di cocaina proveniente dal Sudamerica tagliata con un antiparassitario, il Levamisole. Lo scenario che è emerso è allucinante per quanto riguarda gli effetti sull’uomo. Questa sostanza, se assunta direttamente, aggredisce i globuli bianchi dell’organismo distruggendo le difese immunitarie fino a causare varie malattie come la leucemia. Ciò vuol dire che il corpo umano non è immune dall’essere attaccato dagli antiparassitari. Alla lunga, mangiare cibo trattato con queste sostanze ha effetti devastanti».
Da Bruxelles arriva l’invito ad agire in fretta sradicando gli alberi. Si sbaglia anche l’Europa?
«L’Europa ci impone queste misure drastiche sulla base di quello che le è stato riferito. E cioè che il disseccamento è collegato causalmente alla xylella e che questo batterio non è endogeno, che non è mai esistito in Puglia, sebbene non risultano effettuati accertamenti in tal senso. Bisogna capire chi, fisicamente, ha tenuto i rapporti con Bruxelles e che cosa in tali sedi sia stato riferito».
Le certezze scientifiche sembrano poche in questa vicenda. È così?
«Diciamo che lo IAM, il Cnr di Bari e l’Università di Bari hanno sin dall’inizio correlato il disseccamento degli ulivi con la xylella, anche se finora non sono noti gli studi scientifici che possano confortare tale affermazione. D’altro canto non risulta neppure essere avvenuta la totale condivisione delle metodologie, delle sperimentazioni effettuate e dei risultati acquisiti, a partire dal workshop del 2010, con altre insigni rappresentanze del mondo scientifico al fine di favorire un proficuo confronto ed individuare le migliori pratiche per assicurare la sopravvivenza della tipicità del paesaggio salentino, che sicuramente potrebbe essere gravemente compromesso ove tali migliori pratiche non fossero individuate e prendesse il sopravvento una politica distruttiva, che allo stato, fra l’altro, non si è sicuri possa garantire alcun risultato. Credo che sul punto debba esserci un confronto serrato tra studiosi poiché l’esigenza della riservatezza dello studio scientifico dovrebbe cedere all’interesse collettivo di una scelta più sicura nell’individuazione delle migliori pratiche per fronteggiare l’allarmante situazione».
A che punto è l’inchiesta?
«Procede spedita, pur tra mille difficoltà, in considerazione della peculiarità della materia trattata, delle competenze specifiche richieste e degli enormi interessi in gioco; con la speranza di poter avere delle certezze in un prossimo futuro».