Yara Gambirasio.
Il fermo del presunto assassino di Yara Gambirasio ha inevitabilmente occupato le prime pagine dei giornali e dei settimanali, oltre alle aperture dei telegiornali e a molti altri spazi nei palinsesti televisivi. Una ragazzina uccisa senza un perché da chissà chi diventa inevitabilmente una notizia, per cui i media non possono non parlarne. In particolare, i giornalisti non possono evitare l’argomento, sulla base di quel diritto di cronaca che è, in realtà, anche un dovere.
Dal canto suo, la vasta platea dei destinatari, a cui tutti apparteniamo, chiede di sapere non soltanto cosa è successo ma anche quali possono esserne le possibili cause. E, nei casi di cronaca nera, vuole sapere chi si è macchiato di un delitto tanto grave quanto un omicidio. Il desiderio che il colpevole sia assicurato alla giustizia è non soltanto legittimo ma addirittura auspicabile.
Il punto critico, semmai, riguarda la forma della cronaca e le modalità narrative scelte per esporre i fatti. E qui il crinale riguarda la differenza fra il racconto e la sua rappresentazione. In questo senso, è evidente la differenza di trattamento dei delitti da parte dei diversi media. La televisione è il mezzo che più di tutti gioca sull’impatto emotivo, anteponendo il registro passionale a quello razionale.
Le immagi di un’inquadratura o un filmato catturano la nostra attenzione molto più di un testo scritto. E spesso sintetizzano una serie di elementi di immediata comprensione, che non richiedono la fatica di un’interpretazione ma che, proprio per questo, prestano il fianco a un sensazionalismo “acchiappa-ascolti” che non rende un servizio all’informazione. È vero che lo spettatore – etimologicamente – è “colui che guarda”, ma questo non autorizza il piccolo schermo a ricorrere sistematicamente all’effetto shock visivo.
Anche le modalità con cui la tv presenta la cronaca nera sono spesso scorrette. Nella vicenda di Brembate sono state largamente riproposti i toni e le modalità che hanno caratterizzato, per esempio, anche l’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana e quello di Meredith Kercher a Perugia. Molti programmi del piccolo schermo nostrano riescono nel pessimo intento di trasformare qualunque fattaccio in un giallo a puntate o, peggio, in una rappresentazione stile thriller che non è più informazione ma diventa “infotainment” (intrattenimento pseudo-informativo) o – peggio – in “infoshow” (informazione-spettacolo).
Gli ingredienti di tali programmi sono i soliti: poche certezze, molte ipotesi spesso fantasiose, l’inevitabile squadra di esperti che mescola il criminologo con lo scrittore/opinionista, il sistematico ricorso a ricostruzioni fantasiose e addirittura a “plastici” per rappresentare come vere quelle che sono soltanto ipotese o interpretazioni (spesso tanto suggestive quanto fantasiose).
Da canto loro, i conduttori di questo genere di programmi – che spesso, non dimentichiamolo, sono giornalisti – hanno gioco facile a rimestare nel torbido, come se non esistessero un’etica e una deontologia professionale che invece li obbligano a precisi comportamenti. Proprio nei giorni scorsi l’Ordine dei Giornalisti ha diramato una nota ufficiale sugli eccessi della cronaca televisiva, citando espressamente una “spericolata leggerezza nel trattare argomenti sensibili e di forte impatto sociale”, tale da rendere necessario il “forte richiamo alle regole deontologiche” per evitare il ripetersi di “veri e propri attentati alla pertinenza e correttezza dell’informazione”. Non è mancato un monito esplicito ai giornalisti, proprio sulle modalità di rappresentazione: “Le violazioni che si sono verificate, e che eventualmente si dovessero verificare, saranno segnalate ai competenti Consigli territoriali di disciplina”.
Se la categoria vigila, anche noi spettatori e destinatari in genere dell’offerta mediatica dobbiamo fare la nostra parte, distinguendo la buona informazione da quella cattiva (che, quindi, informazione non è) e trovando i canali giusti per soddisfare la nostra legittima curiosità sui fatti del mondo. Soprattutto su quelli che vanno contro qualunque logica e qualunque buon senso, come l’omicidio di una ragazzina.