L'interno di una delle case distrutte a Mokha, in Yemen.
Gli uomini scavano tra le macerie in una zona residenziale abitativa dei dipendenti dell'impianto Mokha Steam Power (una centrale elettrica) e delle loro famiglie. Il modulo abitativo è stato colpito da sei bombe ad alto potenziale sganciate dagli aerei della coalizione filo-saudita: 67 persone sono state uccise (tra cui 10 bambini) il 24 luglio scorso.
Ecco la cronaca di una strage che ha tutto l'aspetto di un crimine di guerra. Tra le 21:30 e le 22:00, gli aerei della coalizione colpiscono ripetutamente due complessi residenziali della Mokha Steam Power Plant, che ospitava i lavoratori dell'impianto e i loro familiari.
Human Rights Watch (Hrw) ha ispezionato la zona dell'attacco un giorno e mezzo più tardi. Crateri e danni agli edifici hanno mostrato che almeno sei bombe avevano colpito il principale complesso residenziale che ospitava almeno 200 famiglie. Una bomba è stata lanciata su una palazzina separata, distante, e destinata ad ospitare i lavoratori a breve termine. Un’azione che dimostra la volontà precisa di colpire le abitazioni dei lavoratori. Le bombe hanno colpito direttamente due edifici di appartamenti radendoli al suolo e altre bombe sono esplose tra gli edifici, nel cortile principale, distruggendo le pareti esterne degli appartamenti, lasciando in piedi solo i pilastri portanti.
I lavoratori e residenti hanno testimoniato a Human Rights Watch che uno o più aeromobili hanno sganciato nove bombe a intervalli di pochi minuti. Tutte le bombe erano destinate ai condomini e a nessun altro obiettivo. Nessuno dei due complessi residenziali dipendenti dalla centrale elettrica sono mai stati utilizzati per scopi militari e sono almeno una dozzina i testimoni che hanno raccontato che nell'area non vi era stata alcuna attività dei miliziani Houthi o di altre forze militari.
Una delle palazzine colpita dalle bombe.
La mattina successiva alla strage, Al-Arabiya TV, di proprietà saudita, ha riferito che le forze della coalizione hanno attaccato una base militare di difesa aerea in Mokha. Human Rights Watch ha individuato una struttura militare a circa 800 metri a sud est del condominio principale di Steam Mokha Power Plant, che ai lavoratori dell'impianto era stato detto fosse una base di difesa aerea militare. Ma gli operai dell'impianto hanno detto che era vuota da mesi, e Human Rights Watch non ha visto alcuna attività o personale alla base dall'esterno, a eccezione di due guardie.
Bagil Jafar Qasim, vice direttore generale dello stabilimento, ha consegnato agli investigatori di Human Rights Watch una lista di 65 persone uccise durante l'attacco, tra cui 10 bambini. La lista comprende due persone ancora disperse, che, secondo Qasim, sono state travolte e sepolte sotto le macerie.
Human Rights Watch ha visitato tre ospedali in Hodaida che hanno prestato assistenza a 42 feriti dall'attacco, tra cui alcuni in gravissime condizioni. Qui hanno incontrato Wajida Ahmed Najid, 37 anni, residente in uno degli appartamenti, il cui marito è un dipendente dell'impianto. Wajida ha raccontato di aver stretto a se i suoi figli quando è caduta la prima bomba: «Ci stringevamo sperando che il pericolo passasse». Dopo la terza esplosione «l'intero edificio ha cominciato a crollare sopra di noi. Ho capito che dovevamo scappare perché non era sicuro rimanere li. Ho preso le mie ragazze e abbiamo iniziato a correre in direzione della spiaggia, ma pezzi di metallo volavano ovunque e una scheggia ha colpito Malak, la mia bambina di 9 anni, all'addome. Grazie a Dio se la caverà». «Mentre stavamo correndo», ha raccontato la donna, «ho visto i corpi. Sette, a terra. Erano in pezzi».
L'area colpita dalla bombe saudite.
Khalil Abdullah Aidrus, 35 anni, infermiera, ha detto di essersi precipitata alla clinica al-Salam a Mokha quando ha sentito la notizia dell'attacco. Lì, lei e altri medici, hanno prestato le cure di primo soccorso ai feriti, poi inviati agli ospedali di Hodaida. Verso l'una del mattino Khalil lascia l'ospedale e si reca sul luogo del bombardamento. «Come ho attraversato l'ingresso ho visto il mio amico, ingegnere presso lo stabilimento, Abdu al-Samid Subaie. Era sdraiato a terra, appena fuori dal suo appartamento. Aveva un taglio profondo alla vita e stava sanguinando a morte. Anche i suoi due figli giacevano accanto a lui urlando e piangendo. Ho cercato di soccorrerlo ma è stato inutile. Gli aerei erano ancora sopra di noi. Li abbiamo potuti sentire per ore dopo il bombardamento».
Loai Nabeel, 20 anni, che lavora in un negozio nel complesso, ha raccontato di essersi precipitata a casa della sua famiglia quando l'attacco è iniziato. Una seconda bomba ha colpito l'appartamento prima che arrivasse a destinazione, facendo crollare il tetto. Ha trovato la madre e il fratello minore all'ingresso e li ha portati in spiaggia prima di tornare a cercare le sue sorelle Hadeel, 12 anni, e Taghreed, 17. «Era buio. Mi ci sono voluti 10 minuti per trovare Hadeel sotto le macerie. La bomba ha colpito il tetto della stanza dove lei stava dormendo ed era gravemente ferita alla testa. Ho trovato anche Taghreed in un'altra stanza, anche lei ferita alla testa ma in modo più leggero. Hadeel è ancora in coma».
L'area colpita, abitata da civili, e il presunto obiettivo militare indicato dai sauditi.
I bombardamenti sullo Yemen non hanno alcun mandato di diritto internazionale e in ogni caso le ostilità sono regolate dal diritto internazionale umanitario e dalle leggi di guerra che proibiscono attacchi deliberati contro i civili e gli attacchi indiscriminati. Gli attacchi indiscriminati sono quelli che colpiscono obiettivi militari e civili, o obiettivi civili, senza distinzione. Tutti gli attacchi che non sono diretti contro un obiettivo militare specifico sono considerati, appunto, indiscriminati.
«Gli individui che commettono gravi violazioni delle leggi di guerra con intenti criminali, sia intenzionalmente che incautamente, possono essere perseguiti per crimini di guerra. Inoltre possono essere ritenuti penalmente responsabili per il tentativo di commettere un crimine di guerra, anche per l'aiuto, il favoreggiamento e la complicità. I governi che sono parti di un conflitto armato», denuncia ancora Hrw, «sono obbligati a indagare sui presunti crimini di guerra da parte di membri delle loro forze armate».
La coalizione guidata saudita, che comprende gli Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Egitto, Giordania, Kuwait, Marocco, Qatar, e il Sudan, ha condotto una campagna aerea dal 26 marzo in tutto lo Yemen contro le forze Houthi. «Gli Stati Uniti», prosegue la denuncia, «non sono un membro della coalizione, ma hanno dichiarato di appoggiarla fornendo la logistica e il supporto di intelligence. Il Regno Unito ha ammesso che sta “fornendo supporto, tecnico armi a guida di precisione e lo scambio di informazioni con le forze armate saudite tramite accordi pre-esistenti”. Fornire supporto diretto alle operazioni militari, come le informazioni sugli obiettivi, renderebbe gli Stati Uniti e il Regno Unito parti del conflitto armato, e in conseguenza di ciò sarebbero obbligati ad applicare le leggi di guerra».
Raid aerei della coalizione hanno colpito obiettivi Houthi nella capitale, Sana’a, e in altre città, tra cui Saada, Hodaida, Taiz, Ibb, Lahj, al-Dale`a, Shabwa, Marib, Hajja, e Aden. Molti di questi attacchi hanno ucciso e ferito civili.
A partire dal 21 luglio i combattimenti nello Yemen avevano causato almeno 1.693 morti civili, la maggior parte con attacchi aerei, secondo l'Ufficio Onu dell'Alto Commissario per i Diritti umani. Le fonti locali parlano però di quasi 4 mila morti e almeno 16 mila feriti. L'Alto Commissario per i diritti umani ha espresso grave preoccupazione per l'elevato numero di vittime civili nello Yemen e ha chiesto indagini urgenti e approfondite. «Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite», conclude il rapporto di Hrw, «dovrebbe approvare una risoluzione che istituisca una commissione internazionale d'inchiesta per indagare su tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale, dal momento che il conflitto armato in corso nello Yemen è cominciato».