C’è un filo rosso che lega Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Giorgo Strehler e Luca Ronconi, i quattro grandi registi italiani del nostro Novecento: ed è l’opera lirica. Un filo che li ha sempre uniti, nella differenza delle loro scelte estetiche e del loro genio di artisti. Ora che Franco Zeffirelli ci ha lasciato a 96 anni, raggiungendo i suoi colleghi che lo avevano preceduto, è naturale dire che cinema e teatro sono in lutto. Ma è l’opera lirica, il più complesso spettacolo del mondo, ad aver perso uno dei suoi più grandi protagonisti: come regista e come scenografo, ovunque nel mondo, con i più grandi cantanti e direttori, con i titoli più appassionanti e popolari del repertorio, con le platee più cosmopolite della terra.
Sin dal 1953 quando curò bozzetti e figurini per L'Italiana in Algeri di Rossini al Teatro alla Scala di Milano. O dal 1954, quando per lo stesso teatro curò la regia di La Cenerentola. Lo spettacolo teatrale è effimero: e quando si spengono le luci e cala il sipario tutto finisce. Eppure negli occhi e nel cuore della gente il segno lasciato da Zeffirelli è e rimarrà indelebile. E non solo per via delle sue versioni cinematografiche di Traviata del 1983 (con Placido Domingo e Teresa Stratas protagonisti) o delle dirette televisive che per la prima volta diffuse in tutto il mondo (come lo storico Otello scaligero del 1976, sempre con Domingo e con Carlos Kleiber sul podio): ma per la bellezza delle scene, l’intensità cinematografica della recitazione del cantanti, la ricchezza di quei palcoscenici che alcuni critici hanno considerato troppo kitsch, ma che il pubblico ha sempre amato e considerato “la vera opera”.
Ecco perché la sua Bohème resiste in scena alla Scala dal 1963 ed ad ogni inizio di secondo atto il pubblico applaude. Zeffirelli era un uomo consapevole della propria statura. Mai si sottrasse ai dibattiti o al raccontarsi. Ma era un uomo umile, dedito al lavoro. In una trasmissione di molti anni fa dedicata ad una Aida per la Scala comparve in carrozzella, senza narcisismi. Parlò del suo Verdi come di un amico, ma di un amico che appartiene ai “Grandi dell’umanità”. Quel Verdi tanto amato che riporterà nella “sua” Arena di Verona dal prossimo 21 giugno, con la firma postuma di due allestimenti, Traviata e Trovatore. Rappresenteranno il suo canto di addio ad un pubblico che lo ricorderà come un Maestro che ha creduto nella Bellezza ed ha mantenuto intatto il fascino un po’ fiabesco ed un po’ eccessivo dell’opera lirica.