Zdenek Zeman.
Ragazzi, ammettiamolo: il calcio italiano non può fare a meno di Zdenek Zeman. Non ha nessuna importanza il fatto che il suo ritorno sulla panchina del Cagliari sia accidentale, dovuto cioè al fallimento di quel galantuomo e grande uomo di sport di Gianfranco Zola, che a quella stessa panchina era comunque approdato proprio per far meglio di Zeman stesso.
Il Boemo, come Zeman viene chiamato, serve al calcio italiano come un vaccino. Contro l'omologazione, per esempio, contro le infinite interviste in cui la palla è rotonda, la partita sempre difficile, l'avversario comunque tosto e alla fin fine questo è il calcio, bellezza.
Un vaccino al calcio dei bilanci folli, anche. Negli anni della gloria Zeman non ha mai mandato in bancarotta nessun presidente per vincere. E infatti ha ottenuto risultati a volte buone o discreti, spesso non buoni o cattivi. Ma negli anni più modesti ha semmai fatto guadagnare qualcuno: pensiamo al Pescara, splendido vincitore del campionato di Serie B 2011-2012, e agli Insigne, Immobile, Verratti da quella squadra usciti per essere poi venduti a caro prezzo ad altri e conquistare il calcio internazionale.
Un antidoto, Zeman, al conformismo. Sgradevole quando forse sarebbe stato meglio (o per lui conveniente) fare il carino, un signore laddove altri avrebbero strepitato o sgomitato. Dicono, i suoi molti critici: non ha mai vinto niente. Proprio per questo il calcio ha bisogno di lui: pensate che tristezza se nel calcio ci fossero solo quelli che "vincere non è importante, è tutto", quelli che sono dei manager e per i romantici o i senza fissa vittoria provano solo disprezzo, al più noncuranza. Quelli che "se venisse il Carpi in serie A" sarebbe una disgrazia mentre averci il Parma che non riesce nemmeno a falire in pace non fa problema.
Zdenek Zeman, il Boemo, prima di essere un allenatore è un modo di vedere il mondo. Forse una categoria dello spirito. E di spirito questo nostro calcio ha bisogno come il pane.