Che la pecora perduta sia importante, al punto che il buon pastore lascia il gregge per andare a cercarla, ce lo ricordano le pagine dei Vangeli. Ma chi poteva immaginare che, duemila anni dopo, quella parabola sarebbe diventata realtà? E che proprio una capra ribelle e un pastore beduino avrebbero impresso una svolta senza precedenti sulla nostra conoscenza della Bibbia? Non è una metafora. Primavera del 1947: il pastore Mohammed ed-Di’b insegue una capra fuggitiva sulle pendici rocciose che si affacciano sul Mar Morto, nella zona dello wadi Qumran. Il giovane si riposa dalla calura nell’ombra di una grotta e, indispettito, vi scaglia dentro alcuni sassi che... gli restituiscono il rumore di cocci rotti. In quella grotta vengono così scoperti, conservati dentro grandi giare di terracotta, alcuni rotoli di pergamena. Saranno solo i primi di una lunga serie.
UN'IMPRESA STRAORDINARIA
«Credo che quest’opera di ricostruzione non sia seconda allo spostamento dei monumenti di Abu Simbel»
A questo punto entrano in scena un ciabattino, un monaco che riconosce nei rotoli alcune pagine bibliche, l’indiscriminata caccia al tesoro dei tombaroli, archeologi e studiosi che gareggiano per impossessarsi dei preziosi reperti. Sullo sfondo, gli scontri politici e militari che accompagnano la nascita dello Stato d’Israele (1948) e i suoi primi anni. I manoscritti emersi da varie grotte vengono smerciati da contrabbandieri inconsapevoli della loro fragilità, e in alcuni casi finiscono chiusi in depositi bancari che ne compromettono del tutto la conservazione. La vera avventura, però, comincia solo in seguito, perché solo una decina dei rotoli rinvenuti è preservata abbastanza bene. La stragrande maggioranza si è invece sbriciolata in frammenti non più grandi di francobolli. «Ciò nonostante, grazie al loro restauro sono stati identificati centinaia di rotoli. Credo che quest’opera di ricostruzione non sia seconda allo spostamento dei monumenti di Abu Simbel», commenta ammirato Massimo Centini, docente di antropologia e autore del volume Qumran segreto (Edizioni Terra Santa). «A detta degli esperti, che negli anni hanno identificato dodici grotte di questo tipo, non vi sono più altri reperti, fermo restando il meccanismo schizofrenico innescato dal mercato nero dei tombaroli intersecatosi con le ricerche degli studiosi. Eventuali grandi scoperte possono venire oggi solo dallo studio, dall’interpretazione e dal lavoro di scrivania». Nel loro insieme, i manoscritti del Mar Morto consistono per il 25% di copie dei libri biblici: oltre al libro del profeta Isaia – l’unico rotolo quasi del tutto integrale, nonché la copia più antica mai ritrovata – vi sono Salmi, Deuteronomio, Esodo, Genesi, Levitico, Abacuc, Tobia e Siracide. Vi sono poi versioni in aramaico della Bibbia ebraica, numerosissimi libri apocri, testi caratteristici di una comunità stanziata sul Mar Morto – presumibilmente coloro che nascosero i manoscritti nelle grotte – e altro ancora. Il loro valore è inestimabile. Perfino un minuscolo coriandolo di pergamena può contenere inattese rivelazioni. È il caso del frammento conosciuto come “7Q5”, il quale risale a circa venti anni dopo la morte di Cristo, e potrebbe contenere alcuni versetti del Vangelo di Marco. Sarebbe il più antico manoscritto dei Vangeli.
IL MITO DEL GESÙ ESSENO
La notizia dei ritrovamenti e gli annunci degli studiosi aprirono subito due piste. Da una parte si mosse il mondo accademico, con i tempi lunghi tipici degli scavi archeologici e delle minuziose ricerche filologiche. Tra le operazioni di scavo bisogna nominare quelle sul sito di rovine collocato nei pressi delle grotte, già conosciuto a inizio Novecento, ma su cui i manoscritti gettano una nuova luce. A dirigere le ricerche, tra il 1949 e il 1956, fu il domenicano Roland de Vaux, biblista di fama internazionale e direttore dell’École Biblique di Gerusalemme. Padre de Vaux fu il primo a collegare le rovine di Qumran con un insediamento del gruppo religioso degli Esseni, di cui vari scrittori dell’antichità ci hanno trasmesso descrizioni dettagliate. Ben al di sopra delle voci prudenti degli studiosi, presero però piede le affermazioni sensazionalistiche dei divulgatori pseudoscientifici. Già Edouard Schuré nel suo I grandi iniziati (1889) voleva Gesù quale membro della «setta» – come li definisce Plinio il Vecchio – degli Esseni. Ora che manoscritti e sito archeologico davano loro un volto, l’ipotesi fu rilanciata in tutte le sue varianti, senza escludere derive esoteriche (E. Cayce, G.D. Kittler, A.-D. Meurois-Givaudan). Famoso è il caso di Barbara Thiering, che ha immaginato un Gesù esseno esponente di una frangia favorevole al matrimonio. Per la Thiering Gesù si sarebbe sposato prima con Maria Maddalena, poi con un’altra donna, invece di morire in croce sarebbe stato narcotizzato e trasferito a Roma, dove sarebbe morto settantenne. Congetture senza fondamento, che però solleticano quanti preferiscono inebriarsi di suggestioni eccitanti, piuttosto che affrontare la strada faticosa e poco scandalistica della ricerca.
ESSENI, LA PAROLA AGLI STORICI
Chi erano gli Esseni? Di questa frangia religiosa dell’antico giudaismo ci danno una descrizione ampia e talora per conoscenza diretta vari storici, in particolare Filone di Alessandria, Plinio il Vecchio e Giuseppe Flavio. Molto coesi tra loro, somigliavano a una comunità monastica dedita alla rigorosa osservanza di una severa regola ascetica. Agli Esseni era infatti proibito avere rapporti sessuali, costruire armi, fare giuramenti e possedere schiavi. Rifuggivano ogni piacere mondano ed era loro vietato possedere alcunché, al punto che perfino i vestiti – sobri e per lo più bianchi – erano in comune. Dividevano il proprio tempo tra la preghiera, il lavoro, lo studio e i pasti presi in comune, preceduti da riti di purificazione. Credevano fermamente nell’immortalità dell’anima, secondo alcuni nella resurrezione dai morti, e vivevano nell’attesa di un messia chiamato “Maestro di giustizia”. Circa la collocazione geograca di questa comunità, gli scrittori antichi non nominano esplicitamente Qumran, ma descrivono un luogo appartato e isolato che gli è molto affine. Le rovine emerse dagli scavi ci parlano di una struttura perfettamente autonoma: una sorgente con pozzi, una fucina, un forno per cuocere ceramiche, un refettorio, forse uno scrittorio. Vi sono poi numerose piscine per le purificazione rituali, che ricordano le successive vasche battesimali cristiane, dove i neoti adulti si immergevano completamente. «Dalle rilevanze archeologiche abbiamo inoltre scoperto un altro aspetto singolare», aggiunge Centini. «L’area di Qumran era considerata sacra e la comunità non vi risiedeva in maniera continuativa. Dove dormivano, allora? Molto probabilmente in tende o nelle grotte stesse, nelle quali sono stati trovati anche segni di strutture per l’abitazione umana». Nei pressi delle rovine di Qumran vi sono anche tre cimiteri, due più piccoli e uno molto grande. Quest’ultimo contiene migliaia di corpi, seppelliti allo stesso livello e pertanto nello stesso periodo. Molti corpi presentano traumi da morte violenta: chi li sterminò? I Parti, i Romani, le truppe di Erode il Grande? Ma allora perché, invece di fosse comuni, vi sono tumulazioni individuali, allineate secondo la ritualità ebraica del tempo?
L’ASTENSIONE DALLE DONNE
«Non vi sono donne tra gli Esseni, che hanno rinunciato a qualsiasi desiderio sessuale», scrive Plinio il Vecchio. Filone d’Alessandria conferma quest’usanza, rafforzandola con qualche pennellata di misoginia. Anche Giuseppe Flavio lo conferma, pur sostenendo l’esistenza di un ristrettissimo numero di Esseni che si sposava, ma solo per procreare. L’archeologia suffraga q testimonianze, come sottolinea Centini. «Nei cimiteri vicini a Qumran il numero degli uomini è di molto superiore a quello delle donne. Ma perché vi sono anche donne? Secondo «Non vi sono donne tra gli Esseni, che hanno rinunciato a qualsiasi desiderio sessuale», scrive Plinio il Vecchio. Filone d’Alessandria conferma quest’usanza, rafforzandola con qualche pennellata di misoginia. Anche Giuseppe Flavio lo conferma, pur sostenendo l’esistenza di un ristrettissimo numero di Esseni che si sposava, ma solo per procreare. L’archeologia suffraga q testimonianze, come sottolinea Centini. «Nei cimiteri vicini a Qumran il numero degli uomini è di molto superiore a quello delle donne. Ma perché vi sono anche donne? Secondo alcuni studiosi si tratta di tombe beduine, estranee agli Esseni, e in effetti non seguono l’allineamento rituale delle altre tombe. Secondo altri studiosi vi furono donne a Qumran solo nei suoi ultimi anni, forse rifugiatesi lì dopo il grande terremoto del 31 a.C., quando la struttura rimase abbandonata per lunghi anni, prima di essere recuperata e ampliata». Che gli Esseni praticassero il celibato è un dato di primaria importanza. Nell’ebraismo, infatti, il matrimonio è sempre raccomandato e nessuna delle correnti religiose dell’epoca – farisei, sadducei, zeloti – imponeva di rinunciarvi. La scelta degli Esseni costituisce un “precedente” che conferisce credibilità storica al racconto dei Vangeli: Gesù scelse realmente di vivere la castità per il regno dei cieli e richiese ai suoi discepoli di fare altrettanto. Sorprende tuttavia che né l’Antico né il Nuovo Testamento – che pure ci parlano delle altre correnti religiose del giudaismo – non spendano una sola parola sugli Esseni. Quasi che su di loro fosse calata una damnatio memoriae... un silenzio censorio non viene riservato neppure per gli “eretici” Samaritani. «Come spiegarlo? Ci sono posizioni diverse», ci spiega Massimo Centini. «Forse in quel tempo – ma questo è un mio azzardo – non erano una comunità così importante da meritare l’attenzione che attiravano altri gruppi protagonisti della scena non solo religiosa, ma anche politica, di quel tempo. O forse custodivano il proprio isolamento ed evitavano qualunque tipo di contatto». E tuttavia storici greci e latini ci parlano degli Esseni. È proprio il silenzio della Bibbia ad aver alimentato sospetti e supposizioni.
GLI SCRITTI DELLA COMUNITÀ
Alcuni manoscritti di Qumran si possono oggi ammirare nel Santuario del Libro, il museo loro dedicato ed eretto a Gerusalemme nel 1964. La caratteristica cupola bianca dell’edificio riproduce la forma dei coperchi che sigillavano i rotoli in quelle giare di manifattura sconosciuta, probabilmente perché prodotti solo a Qumran. Proprio al di sotto della cupola, nella grande sala circolare, si può ammirare il rotolo del libro di Isaia completamente svolto nei suoi sette metri e mezzo di lunghezza. Oltre alle copie dei libri biblici, il Museo contiene numerosi scritti che si riferiscono alla vita e alle credenze della comunità di Qumran. La Regola della Comunità e la Regola dell’Assemblea sono tipici esempi di testi calati su un gruppo che persegue una precisa impostazione di vita. Il Rotolo del Tempio – salvato in extremis durante la Guerra dei sei giorni – propone un percorso per iniziati, fondendo citazioni di diverse fonti in un linguaggio sincretistico. Ancora più interessante è la Regola della Guerra: che interesse poteva mai avere il conflitto per una comunità pacifica? Si riferisce alla guerra apocalittica, alla fine dei tempi? Sicuramente una parte del linguaggio è simbolico – come il dualismo tra i «figli della luce» e i «figli delle tenebre» – e tuttavia non mancano indicazioni pratiche di come prepararsi alla guerra (indicazioni sulle divise, tipologie di armi). Forse un testo propagandistico contro l’oppressione dell’Impero romano? Anche in questo caso vi sono diverse ipotesi. «C’è un altro fatto da notare», appunta Centini. «In nessuno di questi rotoli compare mai la parola “Esseno”. Li hanno scritti loro o li hanno solamente copiati? In parte sono scritti su papiri, in parte su pergamena, un testo è scritto su piastre di rame, altri su òstraka, cioè frammenti di ceramica. Perché li hanno chiusi nelle giare e nascosti nelle grotte? C’era pericolo imminente? L’arrivo dei Romani? Sono temi che galleggiano, non posso dire di avere risposte».
IL FRAMMENTO 7Q5 E I VANGELI
Trovato nelle grotte di Qumran il frammento più antico dei Vangeli», titolarono i giornali all’indomani dell’annuncio, gettandosi nelle ipotesi più disparate. Si tratterebbe di un frammento di papiro minuscolo e incompleto, con pochissime lettere comprensibili, che potrebbe corrispondere – secondo la ricostruzione del gesuita José O’Callaghan – a tre versetti del Vangelo secondo Marco (6,52-54). La proposta avanzata da O’Callaghan, docente di papirologia al Pontificio Istituto Biblico di Roma, è di quelle che dividono in due la comunità scientifica: ancora oggi studiosi parimenti accreditati si dividono tra favorevoli e contrari. «Qualora fosse vero, si tratterebbe di una testimonianza eccezionale», conclude Centini. «Significherebbe che il Vangelo di Marco – il più antico dei quattro – è stato composto non più tardi di vent’anni dopo la morte di Gesù. A me farebbe piacere, ma non ho gli strumenti per dire se O’Callaghan ha ragione o torto. Lungo la mia ricerca, ho raccolto le opinioni degli studiosi e mi piace presentare al lettore il ventaglio delle ipotesi. Ai posteri l’ardua sentenza».
L'ESPERTO
Massimo Centini (1955), laureato in Antropologia culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Attualmente collabora con la Fondazione Università Popolare di Torino dove è titolare della cattedra di Antropologia culturale; tiene inoltre corsi presso il Movimento Universitario Altoatesino (MUA) di Bolzano. Ha pubblicato saggi con numerosi editori. Per le Edizioni San Paolo è autore di: Tracce di Dio. La storia di Cristo attraverso le sue reliquie (2014) e La lancia di Longino. Storia del soldato che colpì il costato di Cristo (2014). Per le Edizioni Terra Santa ha recentemente pubblicato Qumran segreto. Manoscritti, archeologia e mito di un luogo che fa ancor discutere.