Intervista originale pubblicata su Famiglia Cristiana 45 del 9 novembre 2014
I capelli bianchi, una fronte spaziosa striata dalle rughe, lo sguardo dolce e penetrante insieme, persino la pipa eternamente in mano, spenta o accesa erano una promessa di saggezza. Di Zygmunt Bauman qualche tempo fa Enzo Bianchi ebbe a dire che – come il buon vino – "migliora invecchiando". È forse per questo che il sociologo polacco veniva conteso dai festival culturali italiani ed europei, come una specie di star del pensiero. Nel 2013 ha partecipato al Festival biblico di Vicenza, nel 2014 ha tenuto la lezione magistrale Qualcosa invece di niente. Riflessioni su Dio e sull’uomo che ha inaugurato la manifestazione Torino Spiritualità.
Un titolo che riecheggia i temi che il sociologo affronta nel dialogo con il teologo Stanislaw Obirek, Conversazioni su Dio e sull’uomo, pubblicato da Laterza. «Viviamo un periodo di sperimentazioni», raccontava a Famiglia Cristiana. «Il dato di partenza è una miscela di culture, lingue e memorie del tutto inedita nella storia. La sfida è capire come si possa vivere in pace non malgrado le differenze, bensì grazie a esse, perché quando lei porta in un incontro la sua tradizione e io la mia, ne usciamo entrambi arricchiti: io ho imparato qualcosa da lei e lei, spero, qualcosa da me. Non ci sono sconfitti, siamo tutti vincitori». Richiamando il titolo di un suo libro, L’arte della vita, Bauman dà un nome a questa strategia: «È l’arte del dialogo, la più importante da apprendere, perché ne va della nostra sopravvivenza: se la faremo nostra, coesisteremo, altrimenti moriremo insieme».
La questione della convivenza fra realtà diverse investe anche le religioni. «Le grandi confessioni sono monoteiste, ma sono inserite in un mondo pluralista. Allora siamo di fronte a due opzioni: combattersi o parlarsi. Non è data una terza via, perché nella società del terzo millennio non è possibile separarsi. Quando le nazioni erano la struttura centrale, era possibile accordarsi in base alla regola del cuius regio eius religio, a ognuno la sua religione entro i propri confini. Oggi il contesto è radicalmente mutato: nella stessa strada troviamo la chiesa cattolica, quella anglicana, i battisti, la sinagoga, la moschea; all’interno dello stesso quartiere abitano credenti che hanno il giorno di festa il venerdì, il sabato o la domenica».
Senza essere sollecitato, è lo stesso Bauman a chiamare in causa papa Francesco: «La scelta di confrontarsi con le altre religioni e anche con gli atei è di importanza straordinaria. Ha dimostrato, con gesti concreti, non solo a parole, che dialogare significa mettersi in gioco, accettando di avere come interlocutore non chi è pronto ad applaudirti, ma chi ha punti di vista differenti. Ammiro il coraggio con cui Bergoglio sta esponendo la Chiesa alla realtà del mondo attuale».
ISTITUZIONI INADEGUATE
Pur avendo dedicato una vita alla riflessione filosofica – o forse proprio per questo? – Bauman era consapevole che il pensiero è sempre in ritardo sulla storia. «Viviamo in un mondo in cui siamo tutti interdipendenti, ciò che accade in un angolo del mondo si ripercuote sul resto del globo: i capitali finanziari, le informazioni, le merci, le persone si muovono liberamente. Il dramma è che tutte le nostre istituzioni, quelle create dai nostri padri, sono state concepite e sviluppate in funzione di una realtà imperniata sullo Stato nazionale. L’unico organismo con una dimensione sovranazionale, cioè le Nazioni Unite, è stato creato per mantenere la situazione maturata dopo la Seconda guerra mondiale. Quindi: la condizione umana è globale, i problemi hanno una portata globale, ma gli strumenti di cui disponiamo per gestirli sono locali. La sfida è di alzare il livello delle nostre istituzioni, affinché conquistino una forza e un’efficacia globali. Io sono vecchio, presto morirò, ma i giovani dovranno passare la vita cercando di costruire questa comunità senza confini».
I NUOVI VICINI DI CASA
Predestinata a essere il laboratorio di questo immane progetto è la nostra Europa, «la pattumiera nella quale vengono sversate le crisi mondiali. I migranti che non hanno di che vivere cercano nuove possibilità nel nostro continente, perché abbiamo lavoro, case, servizi. Il che determina da un lato pressioni e conflitti, dall’altro fa delle nostre società un laboratorio nel quale sperimentare nuove forme di coabitazione. L’immigrato non è più un concetto astratto, è il vicino di casa che può essere valutato non per il colore della pelle o la religione, ma in base al fatto che è un buono o cattivo padre, che è simpatico o antipatico, piacevole o noioso. Ci vuole tempo per mettersi al passo con la storia. Vivo da 45 anni nella stessa casa, a Leeds, di fronte a una scuola: una volta vedevo passare davanti alla mia finestra frotte di bambini dello stesso colore; oggi, al contrario, è impossibile che siano dello stesso colore».
A che cosa crede chi non crede è il titolo di un articolo che Bauman scrisse per una rivista dei Gesuiti anni fa. È anche l’ultima nostra domanda: «Esistono interrogativi a cui non possiamo rispondere, non perché siamo immaturi o pigri, ma perché trascendono la nostra comprensione. Dio esiste? Cos’è l’eternità? Perché c’è il mondo anziché il nulla? Questa è la mia fede: abbiamo dei limiti, non siamo autosufficienti, né lo saremo mai. Qui si apre lo spazio di Dio: se Dio davvero morirà, come diceva Nietzsche, morirà insieme all’uomo. Non un istante prima».