Vedere una partita dei mondiali in una casa di fango dell’area rurale di Açailândia è stato come assistere allo sbarco sulla Luna di Neil Armstrong. Una cosa dell’altro mondo, letteralmente. La pubblicità andata in onda prima dell’incontro, nell’intervallo e alla fine dello spettacolo, per esempio, parlava di cellulari e di collegamenti internet a prezzi stracciati. Peccato che in questa zona non prenda né telefono, né internet. E così per comunicare non resta che spostarsi fisicamente, di solito in autobus o in moto, percorrendo chilometri e chilometri su strade di terra battuta.
La distanza tra il circo della Coppa e questa realtà è abissale per mille motivi. La gente si alza prima dell’alba per andare a lavorare i campi, dare da mangiare agli animali, lavare i vestiti a mano, cucinare. Oppure passa la notte nella foresta cacciando. Qui di soldi ne girano pochini. Giusto chi è già andato in pensione, chi insegna nella scuola o chi ha un negozietto o un piccolo bar guadagna denaro. Per il resto ci si arrangia con quello che offre il lavoro agricolo e scambiandosi qualche prodotto con i vicini. Ogni cosa è conquistata con fatica. A partire dalla terra.
Sette anni fa, un gruppo di un centinaio di famiglie si è unito e ha occupato la terra di un grande “fazendeiro” che si dichiarava proprietario di un’area molto estesa senza averne alcun diritto. Poco a poco hanno costruito le case, per lo più con la terra o con il legno degli alberi, e si sono organizzati come comunità. E questa è la storia di tantissime aree rurali della zona. Niente a che fare con i facili guadagni dei giocatori di calcio. Con gli sponsor che spingono a comprare, spendere, consumare. Con la competizione per arrivare primo, costi quel che costi. Rispetto alla Coppa, come dicevamo, un altro mondo.