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venerdì 01 dicembre 2023
 

Da Highbury a Manaus, 80 anni di rivalità

1990: Italia-Inghilterra 2-1. Shilton da una parte, pallone dall'altra. L'Italia è terza, Schillaci è capocannoniere.
1990: Italia-Inghilterra 2-1. Shilton da una parte, pallone dall'altra. L'Italia è terza, Schillaci è capocannoniere.

Questa è una storia che comincia con la perfida Albione, prosegue con i leoni di Highbury, transita per i Maestri inglesi, passa per notti magiche e arriva fino in Amazzonia. È la storia di una rivalità. È Italia-Inghilterra, due scuole calcistiche, due modi d’interpretare il football, e tanti campioni.


Quando iniziano i confronti tra queste due squadre, l’Inghilterra è tutta presa dal suo "splendido isolamento". Siamo alla fine degli anni Venti e un francese, Jules Rimet, ha ideato la coppa del mondo di calcio; i britannici sono scandalizzati. Ma come?, dicono. Noi abbiamo inventato questo sport e voi vi chiedete chi sia il migliore? No, non parteciperemo a questa farsa. Semmai, la vincente di queste sfide potrà venire a Londra per affrontare l'Inghilterra in una gara amichevole. Carini, eh? Il fatto è che non avevano neanche tutti i torti. Nella mentalità sportiva inglese, infatti, se si è i migliori, sono tutti gli altri ad affrontarsi per stabilire quale sia la sfidante ufficiale dei campioni. Una prova? Ancora oggi è così che ci si batte nella vela per l’America's Cup.

Insomma, gli inglesi sono fortissimi ma non partecipano al mondiale. La prima volta dell'Italia con quella che la retorica fascista definisce la “perfida Albione” è nel 1933: due scuole a confronto. Da una parte, il “metodo”, dall’altra il “sistema”. Il metodo lo giocano in Sudamerica, e in Europa quasi tutti, Italia compresa: calcio a zona, un po' lento, con due difensori e tre davanti a proteggere, due centrocampisti, due ali e una punta centrale. Il sistema lo giocano le britanniche e qualche avventurosa europea: marcature a uomo, quattro in difesa, fisicità, atletismo, tanta corsa, cross dalle fasce. Sono gli unici due schemi esistenti al mondo. Finisce in parità: 1-1. La resa dei conti è rimandata all'anno dopo. L'Italia vince i mondiali e va a Londra per quell’amichevole fatta apposta per trasformarsi in una trappola.

È novembre, la nebbia si taglia col coltello e l’inizio è un inferno: al primo minuto, il portiere Ceresoli para un rigore. Al terzo, il regista Monti si rompe un piede, sta zitto e gioca da fermo. Dopo 12 minuti siamo sotto per 3-0. Sembra l'inizio di una disfatta, è solo l’inizio di una partita epica. Gli Azzurri non solo resistono ma nel secondo tempo, in dieci, mettono sotto gli inglesi. Meazza realizza una doppietta in quattro minuti e quando l'arbitro fischia la fine l’Inghilterra vince sì per 3-2, ma gli applausi sono tutti per la squadra di Pozzo.

Le due squadre si ritrovano nel 1939, a Milano. L'Italia ha vinto ancora il mondiale mentre l’Inghilterra ha insistito nella sua assenza. Gli inglesi segnano per primi ma nella ripresa l’Italia pareggia. Poi, arriva il gol fantasma narrato per anni ma mai visto perché allora la Tv non c’era. Un pallone spiove in area inglese, Piola scatta ma il cross è un po' arretrato per colpire al volo, serve un'invenzione. Piola si alza in volo e va per colpire in rovesciata. S'accorge, però, di essere fuori tempo e allora alza la mano, la nasconde dietro la testa e colpisce con un pugno il pallone che va in rete. L'arbitro fa finta di non vedere (è un amico, è il tedesco Bauwens, sono anni cupi). Ma gli inglesi arrivano al pareggio. Ancora nulla di fatto, tutto è rimandato.

Bombe, cannoni, morti, feriti, anche lo sport si ferma per la guerra. Quando si ricomincia è tutto da ricostruire, ovunque. È il 1948, Torino, la città dei granata, del Grande Torino. L'attesa non è più per la “perfida Albione”, ora si chiamano “maestri inglesi”. Che ci danno una lezione indimenticabile. Nonostante i tanti torinisti in campo, ben sette, finisce 4-0 per gli inglesi, con un gol attribuito all'ala Mortensen segnato dall'angolo del corner. In realtà si tratta di un autogol ma tutto contribuisce al mito di questa partita e quella rete da posizione impossibile resta nella memoria dei tifosi dell’epoca. L'anno dopo, a Londra, è 2-0 per gli inglesi e allora inizia a crearsi quel complesso d'inferiorità nei confronti dei maestri che arriverà fino ai giorni nostri, fino alla tv a colori. Un pareggio nel 1952 a Firenze, con il vecchissimo Silvio Piola richiamato in Nazionale per l'ultima volta, uno nel 1959 a Wembley partendo da 0-2, una sconfitta, ancora, nel 1961, a Roma, roba da mangiarsi anche i gomiti dalla rabbia: in vantaggio loro, pareggio di Sivori ma s'infortuna il portiere, Lorenzo Buffon, ed entra un esordiente, Vavassori. Due papere dovute all'emozione e gli inglesi nel finale ci battono.

È una maledizione l'Inghilterra, fino al 1973, annus mirabilis. Finalmente la prima vittoria: a Torino, Anastasi e Capello battono il tabù e a novembre, nel tempio del calcio, Wembley, la vittoria più bella. Zoff para tutto, Rivera è in serata di grazia. Resistiamo ai loro attacchi fino a quattro minuti dalla fine. Poi, di tutto di più. Accade che il nostro centravanti, Giorgione Chinaglia, se ne va in corsa come un'ala, sulla fascia, e che in quella corsa si ricordi di quando era bambino coi genitori emigrati proprio in Gran Bretagna, e allora esplode per quella rabbia antica un tiro assolutamente inutile ma che si trasforma in una fucilata per il portiere inglese che, sorpreso, respinge alla meglio. E in area, anziché un centravanti, c'è un centrocampista. È Fabio Capello, al posto giusto nel momento giusto: 1-0. Dopo averli battuti in Italia, finalmente l’Italia vince anche a Londra. I giornali inglesi, che prima della partita avevano titolato: “Arrivano i camerieri” adesso si scusano. È la rivalsa di tutti gli emigranti: molti di loro, è vero, fanno proprio i camerieri ma per una notte si sentono più ricchi della regina.

Ora, cambia tutto: l’Italia non ha più complessi d’inferiorità e l’Inghilterra non crede più di essere invincibile. Altri confronti si susseguono e ci piace ricordare le prodezze di Zola che proprio in Inghilterra vivrà le sue stagioni migliori; la serata-show di Montella, il gol meraviglioso di Bettega a Roma, la zampata di Tardelli agli Europei del 1980, i due gol di Roberto Baggio e Schillaci ai Mondiali del 1990, ma un episodio - minore, se vogliamo dice tutto di una rivalità che stasera continuerà a Manaus.

Fu nel 1976, a New York. Gli Usa festeggiavano i 200 anni dell’indipendenza e organizzarono un piccolo torneo. Parteciparono anche Italia e Inghilterra e vinsero gli inglesi 3-2, dopo una partita bellissima. Graziani segnò una doppietta in tre minuti e gli inglesi ribaltarono il risultato con tre gol in soli sette minuti nella ripresa. A un certo punto, ci fu una mischia nella nostra area e gli inglesi provocarono una minirissa per innervosirci. Nella zuffa entrò, a sorpresa, anche un vero gentleman, che non era inglese, era Giacinto Facchetti. Mise una mano intorno al collo a un inglese e per un attimo si fermarono tutti, perché da lui non ci si sarebbe mai aspettato un gesto simile. Ma nessuno lo punì. Anche l’arbitro e gli inglesi pensarono che se si era così arrabbiato uno come Facchetti, bisognava calmarsi tutti, e ricordare che alla fine, è solo un gioco. Quello che stasera rimette in palio due modi di concepire il calcio, nato lassù, in Inghiterra e progredito anche grazie agli Azzurri.


14 giugno 2014

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