1990: Italia-Inghilterra 2-1. Shilton da una parte, pallone dall'altra. L'Italia è terza, Schillaci è capocannoniere.
Questa è una storia che comincia con
la perfida Albione, prosegue con i leoni di Highbury, transita per i
Maestri inglesi, passa per notti magiche e arriva fino in Amazzonia.
È la storia di una rivalità. È Italia-Inghilterra, due scuole
calcistiche, due modi d’interpretare il football, e tanti campioni.
Quando iniziano i confronti tra queste
due squadre, l’Inghilterra è tutta presa dal suo
"splendido isolamento". Siamo alla fine degli anni Venti e un francese, Jules
Rimet, ha ideato la coppa del mondo di calcio; i britannici sono
scandalizzati. Ma come?, dicono. Noi abbiamo inventato questo sport
e
voi vi chiedete chi sia il migliore? No, non parteciperemo a questa
farsa. Semmai, la vincente di queste sfide potrà venire a Londra per
affrontare l'Inghilterra in una gara amichevole. Carini, eh? Il
fatto è che non avevano neanche tutti i torti. Nella mentalità
sportiva inglese, infatti, se si è i migliori, sono tutti gli altri
ad affrontarsi per stabilire quale sia la sfidante ufficiale dei
campioni. Una prova? Ancora oggi è così che ci si batte nella vela
per l’America's Cup.
Insomma, gli inglesi sono fortissimi ma
non partecipano al mondiale. La prima volta dell'Italia con quella
che la retorica fascista definisce la “perfida Albione” è nel
1933: due scuole a confronto. Da una parte, il “metodo”,
dall’altra il “sistema”. Il metodo lo giocano in Sudamerica, e
in Europa quasi tutti, Italia compresa: calcio a zona, un po'
lento, con due difensori e tre davanti a proteggere, due
centrocampisti, due ali e una punta centrale. Il sistema lo giocano
le britanniche e qualche avventurosa europea: marcature a uomo,
quattro in difesa, fisicità, atletismo, tanta corsa, cross dalle
fasce. Sono gli unici due schemi esistenti al mondo. Finisce in
parità: 1-1. La resa dei conti è rimandata all'anno dopo.
L'Italia vince i mondiali e va a Londra per quell’amichevole
fatta apposta per trasformarsi in una trappola.
È novembre, la nebbia si taglia col
coltello e l’inizio è un inferno: al primo minuto, il portiere
Ceresoli para un rigore. Al terzo, il regista Monti si rompe un
piede, sta zitto e gioca da fermo. Dopo 12 minuti siamo sotto per
3-0. Sembra l'inizio di una disfatta, è solo l’inizio di una
partita epica. Gli Azzurri non solo resistono ma nel secondo tempo,
in dieci, mettono sotto gli inglesi. Meazza realizza una doppietta in
quattro minuti e quando l'arbitro fischia la fine l’Inghilterra
vince sì per 3-2, ma gli applausi sono tutti per la squadra di
Pozzo.
Le due squadre si ritrovano nel 1939, a
Milano. L'Italia ha vinto ancora il mondiale mentre l’Inghilterra
ha insistito nella sua assenza. Gli inglesi segnano per primi ma
nella ripresa l’Italia pareggia. Poi, arriva il gol fantasma
narrato per anni ma mai visto perché allora la Tv non c’era. Un
pallone spiove in area inglese, Piola scatta ma il cross è un po'
arretrato per colpire al volo, serve un'invenzione. Piola si alza
in volo e va per colpire in rovesciata. S'accorge, però, di essere
fuori tempo e allora alza la mano, la nasconde dietro la testa e
colpisce con un pugno il pallone che va in rete. L'arbitro fa finta
di non vedere (è un amico, è il tedesco Bauwens, sono anni cupi).
Ma gli inglesi arrivano al pareggio. Ancora nulla di fatto, tutto è
rimandato.
Bombe, cannoni, morti, feriti, anche lo
sport si ferma per la guerra. Quando si ricomincia è tutto da
ricostruire, ovunque. È il 1948, Torino, la città dei granata, del
Grande Torino. L'attesa non è più per la “perfida Albione”,
ora si chiamano “maestri inglesi”. Che ci danno una lezione
indimenticabile. Nonostante i tanti torinisti in campo, ben sette,
finisce 4-0 per gli inglesi, con un gol attribuito all'ala
Mortensen segnato dall'angolo del corner. In realtà si tratta di
un autogol ma tutto contribuisce al mito di questa partita e quella
rete da posizione impossibile resta nella memoria dei tifosi
dell’epoca. L'anno dopo, a Londra, è 2-0 per gli inglesi e
allora inizia a crearsi quel complesso d'inferiorità nei confronti
dei maestri che arriverà fino ai giorni nostri, fino alla tv a
colori. Un pareggio nel 1952 a Firenze, con il vecchissimo Silvio
Piola richiamato in Nazionale per l'ultima volta, uno nel 1959 a
Wembley partendo da 0-2, una sconfitta, ancora, nel 1961, a Roma,
roba da mangiarsi anche i gomiti dalla rabbia: in vantaggio loro,
pareggio di Sivori ma s'infortuna il portiere, Lorenzo Buffon, ed
entra un esordiente, Vavassori. Due papere dovute all'emozione e
gli inglesi nel finale ci battono.
È una maledizione l'Inghilterra,
fino al 1973, annus mirabilis. Finalmente la prima vittoria: a
Torino, Anastasi e Capello battono il tabù e a novembre, nel tempio
del calcio, Wembley, la vittoria più bella. Zoff para tutto, Rivera
è in serata di grazia. Resistiamo ai loro attacchi fino a quattro
minuti dalla fine. Poi, di tutto di più. Accade che il nostro
centravanti, Giorgione Chinaglia, se ne va in corsa come un'ala,
sulla fascia, e che in quella corsa si ricordi di quando era bambino
coi genitori emigrati proprio in Gran Bretagna, e allora esplode per
quella rabbia antica un tiro assolutamente inutile ma che si
trasforma in una fucilata per il portiere inglese che, sorpreso,
respinge alla meglio. E in area, anziché un centravanti, c'è un
centrocampista. È Fabio Capello, al posto giusto nel momento giusto:
1-0. Dopo averli battuti in Italia, finalmente l’Italia vince anche
a Londra. I giornali inglesi, che prima della partita avevano
titolato: “Arrivano i camerieri” adesso si scusano. È la rivalsa
di tutti gli emigranti: molti di loro, è vero, fanno proprio i
camerieri ma per una notte si sentono più ricchi della regina.
Ora, cambia tutto: l’Italia non ha
più complessi d’inferiorità e l’Inghilterra non crede più di
essere invincibile. Altri confronti si susseguono e ci piace
ricordare le prodezze di Zola che proprio in Inghilterra vivrà le
sue stagioni migliori; la serata-show di Montella, il gol
meraviglioso di Bettega a Roma, la zampata di Tardelli agli Europei
del 1980, i due gol di Roberto Baggio e Schillaci ai Mondiali del
1990, ma un episodio - minore, se vogliamo dice tutto di una
rivalità che stasera continuerà a Manaus.
Fu nel 1976, a New York. Gli Usa
festeggiavano i 200 anni dell’indipendenza e organizzarono un
piccolo torneo. Parteciparono anche Italia e Inghilterra e vinsero
gli inglesi 3-2, dopo una partita bellissima. Graziani segnò una
doppietta in tre minuti e gli inglesi ribaltarono il risultato con
tre gol in soli sette minuti nella ripresa. A un certo punto, ci fu
una mischia nella nostra area e gli inglesi provocarono una minirissa
per innervosirci. Nella zuffa entrò, a sorpresa, anche un vero
gentleman, che non era inglese, era Giacinto Facchetti. Mise una mano
intorno al collo a un inglese e per un attimo si fermarono tutti,
perché da lui non ci si sarebbe mai aspettato un gesto simile. Ma
nessuno lo punì. Anche l’arbitro e gli inglesi pensarono che se si
era così arrabbiato uno come Facchetti, bisognava calmarsi tutti, e
ricordare che alla fine, è solo un gioco. Quello che stasera rimette
in palio due modi di concepire il calcio, nato lassù, in Inghiterra
e progredito anche grazie agli Azzurri.