1950: Al Maracanà il Brasile batte la Jugoslavia 2-0 ed evita di uscire sorprendentemente al primo turno.
Al momento del sorteggio dei gironi mondiali, era dicembre, quando è uscito il nome della Croazia nello stesso gruppo del Brasile i più attenti hanno commentato: «Era destino!» I meno avvezzi ai corsi e ricorsi hanno chiesto: perché? Perché il Brasile, da quando esistono i mondiali di calcio, ha un rapporto, diciamo così, quasi obbligato proprio con la Croazia e la sua genitrice, la Jugoslavia.
I brasiliani hanno affrontato la Jugoslavia in quattro edizioni del torneo e la Croazia nel 2006. E con questa avventura che va a iniziare, fanno ben sei confronti diretti. Certo, la Jugoslavia è una cosa e la Croazia un’altra, ma nessuno se la prenderà se le mettiamo assieme per quest’occasione. Fatto sta che in taluni casi, per i grandi campioni del palleggio sudamericano le cose non sono andate bene. Come nel 1930, primo mondiale della storia, in Uruguay. Fu difficile convincere le squadre europee ad affrontare il viaggio via mare per il Sudamerica; alla fine accettarono solo in quattro: Belgio, Francia, Romania e Jugoslavia. La quale capitò nel girone che comprendeva Bolivia e Brasile.
I brasiliani erano tra gli indiziati per la vittoria finale. E certi loro nomi già lasciavano intravedere quell’esotismo magico che li accompagna nell’immaginario collettivo come autori di gesti calcistici meravigliosi, da Benedito a Brilhante, da Hermogenes a Moderato, perfino a un tale Italia, che in realtà si chiamava Gervasoni. E per la gioia dei poeti, Preguinho, Russinho e Manoelzinho. Ma, al di là dei nomi, alla prima partita corrispose la prima batosta: vinse la Jugoslavia 2-1, con il contorno di un gol annullato al Brasile che era parso regolarissimo. Così, i carioca (di paulista ce n’era uno solo) vengono subito eliminati dall’unica europea capace di passare il turno. Mica male, come delusione!
Quando le due si ritrovano di fronte è il 1950, al Maracanà di Rio de Janeiro. È una partita decisiva, solo la prima passa il turno e il Brasile deve vincere. Altrimenti, passerebbero ancora una volta gli jugoslavi. Stavolta non ci sono sorprese negative (quelle arriveranno all’ultima partita, con l’Uruguay): 2-0 grazie a un Ademir scatenato che prima segna e poi manda in gol Zizinho.
Passano gli anni, molti; il Brasile finalmente ha imparato a vincere il torneo più prestigioso mentre la Jugoslavia non ha imparato a essere squadra. Tante individualità assieme per obbligo ma poi, quelli che vengono chiamati i “brasiliani d’Europa” per fantasia, tecnica e predilezione per il gioco d’attacco, finiscono per far emergere i rancori antichi che mai li hanno abbandonati: il serbo che non passa mai il pallone al croato, il bosniaco che litiga con lo sloveno, il montenegrino che fa tutto da solo perché degli altri non si fida. In questo clima, vincere è un’impresa. E i critici lo dicono a chiare lettere: se gli jugoslavi capissero che il calcio è un gioco di squadra, vincerebbero sempre.
Bene, Brasile e Jugoslavia si ritrovano nel solito girone iniziale ai mondiali tedeschi del 1974. La partita finisce 0-0 ma saranno gli europei a finire al primo posto del girone, davanti ai campioni uscenti. Le due nazionali non si ritroveranno mai più, anche a causa della guerra nel Paese europeo da cui nascerà la Croazia. Gli ottimisti a quel punto hanno pensato che finalmente, così spezzettata, la ex Jugoslavia avrebbe trovato pace nel calcio. Dimentichi, però, che più ci si divide più ci si indebolisce e la Croazia da sola non fa neanche mezza Jugoslavia dei bei tempi andati.
E allora ecco che il Brasile si trova contro i croati otto anni fa, nel 2006, ancora una volta in Germania, nazione, invece, molto unita dopo il crollo del Muro di Berlino. Vince la squadra verde-oro, grazie a uno splendido gol di Kakà quando, oltreché bello da vedere, il suo gioco era ancora redditizio per la squadra. Ora, corsi e ricorsi, siamo nuovamente a Brasile-Croazia, in casa dei brasiliani che hanno la pressione di milioni di tifosi addosso: “devono” vincere, fin da subito, da stasera, contro gli eterni rivali di quella che fu il “Brasile d’Europa” e che adesso è solo la vittima designata dell’esordio.
Ma siccome la palla è rotonda, conviene non fidarsi troppo. Anche perché nella Croazia gioca un tale... Eduardo che sì, insomma, l’avrete capito dal nome, è nato in Brasile, in una favela di Rio. Da piccolo lo vide un osservatore e se lo portò in Europa, proprio in Croazia. Ora ritorna nel suo Paese, con un’altra maglia addosso. La storia continua…