10 giugno 1934: Monzeglio e Bertolini sollevano il ct Pozzo mentre la riserva Caligaris alza al cielo la bandiera italiana.
Per l’Italia del calcio quella del 10 giugno è una data importante. Esattamente 80 anni fa, il 10 giugno 1934, la squadra azzurra si laureò per la prima volta campione del mondo, battendo la Cecoslovacchia per 2-1. Vittoria molto discussa ancora oggi. I dubbi riguardano tre partite, con Grecia, Spagna e Austria. Ma quel mondiale si “doveva” vincere, come il Duce, Benito Mussolini, aveva ordinato a chiare lettere.
Non era un tifoso del pallone, Mussolini, anzi, a lui il calcio non piaceva. Già all’inizio della sua avventura da dittatore, a metà anni Venti, aveva dato disposizioni ai suoi uomini: ideare un gioco che costituisse l’alternativa italiana al football, di chiara marca britannica. Se inventare un gioco non è facile, figuriamoci crearne uno per sostituire il calcio! Nacque uno sport ibrido, poco comprensibile per il pubblico e che ebbe gloria effimera. Lo chiamarano fascistissimamente e futuristicamente “volata”. Ma mentre si disputavano tornei di volata in stadi semivuoti, gli italiani riempivano i catini del calcio per ammirare le prodezze di Meazza e Orsi, Bernardini e Schiavio. Così, l’idea fu lasciata cadere nel silenzio generale.
La prima sconfitta mussoliniana non servì: il Duce, in un impeto di romanissimo orgoglio, impose a Silvio Piola, astro nascente dell’area di rigore, di rifiutare il trasferimento ormai certo dalla Pro Vercelli all’Inter per la capitale, sponda Lazio, che il Duce aveva scelto come punto di riferimento glorioso delle gesta pedatorie di stirpe italica. Piola andò alla Lazio e l’altra metà di Roma se ne ricordò, eccome. Quando nacque uno stadio tutto per la Roma, nel quartiere Testaccio, si aspettò che Mussolini si decidesse a vedere una partita dei giallorossi. L’occasione capitò ma il Duce, narrano ancora oggi nel popolare quartiere tutto romanista, dopo un po’, annoiato da quel gioco che non amava, in modo plateale fece finta di addormentarsi. Poi, dopo una mezz’oretta, uscì mentre era in corso la partita. E qualcuno ne approfittò perfidamente. Un gruppo di tifosi sfruttò una decisione arbitrale mentre il Duce scendeva gli ultimi gradini, per fischiare sonoramente. Mussolini capì ma non poté accusare nessuno e non mise più piede a campo Testaccio.
Ma il duce comprese anche, da vero animale politico, che il calcio poteva far riverberare la sua figura e quella del Paese nel mondo intero. Quando nacque il campionato del mondo si affrettò, attraverso i suoi fedelissimi, a cercare di organizzare il torneo. E nell’ottobre del 1932, la Fifa, la Federazione internazionale del calcio, scelse come Paese organizzatore della seconda edizione del mondiale proprio l’Italia. Anche perché l’altra candidata, la Svezia, aveva deciso di rinunciare. Così, per la gioia non calcistica di Mussolini, nel 1934 i mondiali si sarebbero disputati da noi. La cosa costò cara proprio al presidente della Federcalcio, il gerarca bolognese Leandro Arpinati. Con la scusa di un litigio con Achille Starace, segretario del partito fascista, Arpinati viene esautorato e al suo posto sale un generale, Giorgio Vaccaro, presidente del Coni.
L’organizzazione del mondiale fu ottima, va riconosciuto; molto meno, la sua regolarità. Per arrivare alla fase finale, infatti, l’Italia doveva affrontare un’eliminatoria contro la modesta Grecia. Vennero spezzate facilmente le reni elleniche a Milano: 4-0. Però, la partita di ritorno, ad Atene, non fu mai giocata. Si disse per rinuncia della Grecia che, meno forte e già sotto di quattro reti, non aveva alcuna possibilità di qualificarsi. Sarà, ma in ogni caso la partita avrebbe dovuto disputarsi ugualmente, no? Invece, niente. L’Italia passa il turno e può giocare i mondiali in casa sua. I greci stanno zitti ma decine di anni più tardi riaprono il caso rivelando che i dirigenti fascisti pagarono quelli ellenici per liberarsi di quel fastidio. Vero o meno, da lì in poi è una serie infinita di sospetti sulla squadra che Vittorio Pozzo, commissario tecnico, allestisce per il mondiale casalingo.
Dopo aver battuto facilmente gli Stati Uniti (7-1) a Roma, nei quarti di finale ci tocca la Spagna, a Firenze. Osso duro, perché gli iberici giocano un buon calcio, hanno due o tre elementi di qualità (Regueiro, Quincoces, Cilaurren) e soprattutto il miglior portiere del mondo, Ricardo Zamora, una specie di mostro paratutto che sa come intimorire gli avversari. Finisce 1-1 (con rete italiana irregolare) dopo i supplementari e dal momento che non esistono ancora i calci di rigore in caso di parità, la partita deve essere rigiocata. Sì, il giorno dopo! La Spagna decide di cambiare ben sette uomini. E sostituisce, clamorosamente, anche il portiere, Zamora, innescando molti dubbi sui motivi di quelle scelte, anche perché Pozzo, invece, fa riposare solo quattro giocatori della prima sfida. Stavolta l’Italia ce la fa, ma solo per 1-0, con l’arbitro svizzero Mercet che non vede un rigore per la Spagna. Discussione inutile, si dirà, ma quando a fine mondiale la federazione svizzera sospenderà l’arbitro allora il sospetto sarà più chiaro. Ma gli italiani questa notizia la scopriranno dopo il ventennio.
In semifinale per l’Italia a Milano c’è l’Austria, così brava e bella da essere soprannominata “wunderteam”, squadra delle meraviglie. Vinciamo 1-0 ma le polemiche non mancano, proprio per la rete che il compiacente arbitro svedese Eklind giudica regolarissima ma che gli austriaci contestano a viva forza. E riguardando le immagini di quel giorno, beh, che quel gol possa essere regolare fa almeno sorridere…
Come il Duce voleva, l’Italia è in finale contro la Cecoslovacchia. Gli azzurri subiscono un gol nella ripresa e solo a dieci minuti dalla fine riescono a pareggiare. La vittoria arriva al quinto minuto del primo tempo supplementare, per una casualità. Schiavio, il centrattacco, è stanchissimo e il ct Pozzo gli dice di mettersi all’ala per faticare meno. L’attaccante del Bologna esegue ma quando vede partire un’azione di Guaita e Meazza, istintivamente, da vero centravanti, finisce per tagliare il campo e infilarsi in area dove gli arriva il pallone: con un ultimo sforzo, Schiavio realizza il gol della vittoria. Trionfo, applausi, cori, stadio impazzito di gioia, eccetera.
Mussolini gongola anche se il francese Jules Rimet, inventore del campionato del mondo e seduto accanto a lui, nelle sue memorie scriverà che il Duce si mostrava piuttosto annoiato, assente dall’evento sportivo. Ma anche questo lo scopriremo dopo la caduta del fascismo. Il giorno dopo, infatti, la Gazzetta dello sport saluta così in prima pagina la vittoria: “Gli azzurri conquistano alla presenza di Mussolini il campionato del mondo”. Sopra, l’occhiello, non proprio soave e sobrio: “Le grandi vittorie degli atleti fascisti nel nome e per il premio del duce”…