Ciro Esposito
Ciro Esposito è icona e vittima del male del calcio. Di carne e di sangue. Infinitamente più tragica e dolorosa è la sua partita persa rispetto a quella contro l’Uruguay.
E quella quasi coincidenza di date ci aiuta a rendere relativa l’esclusione dalla coppa, le polemiche che ne sono seguite, i fanghi, i commenti, le tattiche. Tutto tranne le prospettive. Perché non si può spiegare ogni cosa con le parole dei soloni del pallone che dicono che il mondo del calcio altro non è che lo specchio della società con tutte le sue contraddizioni e le sue declinazioni.
E poi la preoccupazione per un Paese che non ha memoria, che dimentica in fretta e che non si dà conto che le morti del calcio sono diventate litania. Perché Ciro non è il primo a finire esanime sull’asfalto del tragico paradosso di un tifo deforme. Ma tutti dobbiamo tenacemente pretendere che sia l’ultimo. E non basta la riorganizzazione della sicurezza dentro e fuori dagli stadi.
Né la sola responsabilizzazione delle società di calcio. Piuttosto è
necessaria un’assunzione collettiva di responsabilità affinché il calcio
torni ad essere uno sport. Il gioco del calcio.
La morte di Ciro deve
diventare la morte del totem del calcio che chiede ciclicamente
sacrifici umani. Un calcio che si fa estremismo politico,
fondamentalismo religioso, motivo di vita e di morte non è più uno sport
ma una sua tragica caricatura.
Così come diventa nel contempo una
caricatura della politica, della fede e della vita. In questa
deformazione la violenza non è un tragico errore, una situazione
sfuggita di mano o un fenomeno imprevisto. È componente essenziale e
costitutiva. Ad essa si inneggia e si incita come fosse una squadra in
campo. Tutti dobbiamo avere il coraggio di dire che non si può andare
avanti così. Ciascuno deve fare la propria parte. I tifosi veri, i
prefetti, le società… ma anche i singoli cittadini. Tutti.
A cominciare
dagli attori della giostra che hanno trasformato la corsa entusiasmante
dietro a un pallone nella folle spirale senza fiato dei soldi. Un
vortice di calciomercato e diritti televisivi, di pubblicità e
scommesse, di interessi estranei e di ingaggi d’oro.
Alla fine Ciro
Esposito è vittima anche di questo sistema-calcio. Ma anche Inghilterra,
Spagna e Italia sono vittime della stessa mano che distrae dal gioco
del calcio. Un sistema denunciato nei fatti proprio da Cesare Prandelli e
troppo spesso lasciato solo in quella panchina.
Una dignità mostrata
dalla mamma di Ciro che implora e scongiura perché nessuna violenza sia
consumata in nome di suo figlio. Un appello che vale più di un’intera
preparazione atletica perché se la partita è persa, cerchiamo almeno di
salvare il campionato. Quello della vita del calcio.