Edinson Cavani e Wayne Rooney, stelle a confronto tra Uruguay e Inghilterra.
Il padre e la madre. Eccoli lì, pronti a uno dei soliti litigi su chi è più bravo come genitore. La madre l’ha fatto nascere, il padre l’ha fatto crescere. Papà ha ricevuto tanti premi, mamma solo uno ma, si sa, è quasi sempre stato così, soprattutto in passato: i meriti agli uomini, le fatiche alle donne. Il figlio, ormai adulto, è sempre stato capace di avventurarsi da solo per il mondo, anche se ogni tanto, un po’ immalinconito, torna a casa. Anzi, in una delle due case, perché i genitori vivono da sempre ognuno a casa sua. Non che si detestino al punto di divorziare, questo no, ma sono abituati così da sempre, stanno bene da soli.
Chi sono? Lei, la mamma, origini nobili, solida educazione e cultura universitaria, si chiama Inghilterra. Ha fatto nascere un bambino a cui ha dato nome Calcio. Madre altera, ha preteso per anni di non avere rapporti di vicinanza con gli amici del figlio. Lui se ne andava in giro a farsi ammirare e imitare da tutti, e lei non lo voleva seguire. Orgogliosa, continuava a ripetere che tanto, prima o poi, il figlio e i suoi amici dovevano passare per forza da lei. Si mostrava in tutta la sua bellezza solo assieme ai parenti stretti, le sorelline Scozia e Irlanda e il fratellino Galles. Assieme, col pomposo nome di Regno Unito, alle Olimpiadi del 1908, in casa, a Londra, mostrarono al mondo i gioielli di famiglia. Ha poi viaggiato fino a Stoccolma, nel 1912, sempre con la famiglia, ancora a far vedere quanto erano belli, uniti e forti.
Poi, si sa, gli anni passano, la bellezza sfiorisce e anche i parenti stretti scelgono altre vie da percorrere. Così, mentre mater semper certa, ci si chiedeva chi potesse essere il padre di Calcio. Il quale, da scavezzacollo, girava per il mondo facendo proseliti ovunque. Poi, (1924 a Parigi e 1928 ad Amsterdam), la risposta arrivò. Il padre di Calcio era lui, non certo nobile come la mamma, ma pur sempre un uomo interessante. Pieno di avventure da raccontare sul proprio passato - a tratti anche torbido - ma capace di rientrare nei ranghi al momento opportuno e darsi un tono da signore alle feste che contano.
Il suo nome? Uruguay, che trionfa in due Olimpiadi e vince due campionati del mondo (1930, 1950). La mamma, gelosa per la fama oscurata, anche un po’ stanca negli anni, a un certo punto decide addirittura di tornare in scena, dopo che (1930, 1934, 1938) a ogni invito, stizzita e superbiosa, si era voltata dall’altra parte: «No, con voi non ci vengo». Quando capisce che da soli si può anche diventare tristi (1950), ecco la batosta, inaspettata e dolorosissima. Colpa di quei parenti lontani, quegli Stati Uniti che al figlio di lei non hanno mai dato importanza ma che ora, spudorati e irriconoscenti, lo usano addirittura per batterla in modo clamoroso.
Il padre, invece, furbacchione e astuto, trionfa proprio in quell’occasione, mentre tutti preparano la festa al Maracanà per il Brasile, una specie di cugino della famiglia Calcio, intelligentissimo ma troppo spesso svogliato e superficiale. Arriva il padre, due contropiedi e zac: la festa appena cominciataaaaa è già finiiiitaaa…
Storie di una famiglia allargata. Sempre di più. La madre del calcio, Inghilterra, ha dovuto attendere un’età molto più che matura per vedere riconosciuti i propri meriti (1966). Quanto al padre, finita l’epoca trionfale, ha iniziato a sentire gli acciacchi dell’età, vagando su campi in cui di gloria ne ha raccolta poca. Per mamma Inghilterra, il figlio Calcio è fatto di atletismo, fisicità, corsa su tutto il campo, solidità mentale e senso della sportività. Per papà Uruguay, invece, il figlio Calcio è astuto e robusto, senza paura e con qualche sprazzo di classe e di fantasia.
Di tanto in tanto, mamma e papà, ormai anziani, si ritrovano e ripensano ai bei tempi che furono, anche litigando. Come nel 1954, lui che tira a lei quattro sberle, lei che replica solo con due schiaffi. O nel 1966, a casa di mamma. Il padre non poteva mancare ma almeno finì senza litigi o rimpianti: 0-0, partita inaugurale di un mondiale che avrebbe visto mamma vincere, finalmente, almeno una volta, anche lei. Da allora, niente più incontri di famiglia.
Fino a quello di stasera che suona un po’ come una specie di resa dei conti. Il figlio, Calcio, se n’è andato allegramente ora qui, ora lì. Un tempo s’era innamorato di quella bellissima scialacquatrice di ricchezze, Italia, sì, proprio lei, a cui dedica ancora oggi improvvisi ritorni di fiamma. Poi s’è fatto amico di quel Brasile così bello e simpatico che bisognava per forza stargli vicino per divertirsi. Ha flirtato di tanto in tanto con Germania, oltre ad aver avuto brevi ma intense avventure con Ungheria, Olanda, Argentina, Spagna e Francia.
Ora è lì, davanti ai suoi genitori e il rischio è che decida di fare a meno di entrambi. «Io vado per la mia strada, voi non lo so… Io vi do la palla, vedetevela fra voi mentre aspetto quella bella signorina focosa e fantasiosa, ribelle e dispersiva che v’ho messo accanto. Sì, Italia, sì, proprio lei, mamma. Lo so che te le ha date e che ha sfruttato abilmente i tuoi difetti, ma almeno lo sa fare bene, ammettilo. Quanto a te, papino caro, cerca di non spendere troppe energie a litigare con mamma, perché dopo, Italia tocca proprio a te. Io vi ho avvisati…»