Nella città di
Açailândia si è fermato proprio tutto con l’inizio della Coppa. Scuole
comprese: le superiori si sono prese un bel mesetto di ferie anticipate, mentre
le elementari chiudono i battenti ogni volta che gioca la Seleção. Una festa
per tutti i ragazzi, naturalmente. Che però ha un retrogusto piuttosto amaro.
A queste
latitudini poter imparare qualcosa sembra essere un privilegio per pochi. Il
materiale didattico spesso scarseggia, così come accade che i professori non
siano abbastanza per garantire l’insegnamento di tutte le materie.
Nelle aree
rurali del comune queste difficoltà sono duplicate. Tanto che in alcune zone
chi frequenta le superiori non riesce a concludere l’anno da tempo. Funziona
così: esiste solo una struttura per quattro o cinque villaggi, distanti anche
qualche decina di chilometri tra loro, e dei pulmini passano a prendere gli
studenti verso le 18/18.30 di sera e li riportano a casa verso le 22.30/23.
Peccato che ci
siano puntualmente due intoppi. Il primo: le lezioni non iniziano a fine
febbraio, come dovrebbero, ma solo a maggio. Secondo: verso novembre o
dicembre, con l’inizio della stagione delle piogge e col peggiorare della
strada sterrata, il mezzo di trasporto pubblico non passa più, rendendo
impossibile a chi non vive vicino alla scuola superare l’anno.
Le
statistiche ufficiali dicono che in Brasile sa leggere e scrivere circa il 90%
della popolazione dai 15 anni in su. E nello Stato del Maranhão
questo valore scende ad appena l’80 per cento.
Il lavoro
pastorale con le comunità rurali è complicato, e molto, dalla pessima qualità
dell’istruzione. Trovare qualcuno che legga durante una Messa o che possa studiare
un catechismo, per esempio, a volte è estremamente complicato. Per un semplice
motivo: in alcune aree chi sa leggere e scrivere si conta sulla dita di una
mano.
E così, un po’
alla volta, si fa spazio il dubbio che tutto quel verde-oro lanciato negli
occhi di chi assiste alla Coppa cerchi solo di nascondere la tanta polvere che
esce dai banchi di scuola. O la realtà di tanti bambini che giocano ma che non
possono studiare come sarebbe loro diritto. E che fanno festa con la nazionale
di calcio, ma con quel retrogusto amaro di cui parlavamo.