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martedì 18 marzo 2025
 
Le regole del gioco Aggiornamenti rss Elisa Chiari
Giornalista

Non solo Falcone: Vito Schifani

La mamma del video è Rosaria Schifani. Abbiamo ancora tutti nelle orecchie la sua voce di ragazza, che il giorno dei funerali di Falcone e degli uomini della scorta trapanò le nostre coscienze  gridando: «Io vi perdono ma voi dovete mettervi in ginocchio».

Rosaria aveva 22 anni, tra gli uomini della scorta c’era suo marito Vito Schifani, il papà di Emanuele. La lettera che avete ascoltato è  l’ultimo passaggio del documentario Ho vinto io di Felice Cavallaro con Rosaria Schifani. Il ragazzo, cadetto della Guardia di Finanza, che la legge è Emanuele, che aveva quattro mesi il 23 maggio del 1992. Gliel'ha scritta sua madre nel luglio di quell'anno.

Emanuele è rimasto sempre defilato e lo è ancora, ma il giorno del suo giuramento, vent’anni dopo la morte del padre, non è sfuggito alla cronaca: nelle sue rarissime parole pubbliche si colgono l’equilibrio e l’orgoglio, l’idea che le storie debbano continuare. A Giovanni Chinnici, figlio del giudice Chinnici ucciso a Palermo il 29 luglio del 1983, ha raccontato: «Ho scelto la Finanza perché ho letto da qualche parte che Al Capone non è stato arrestato per la strage di San Valentino ma perché non pagava le tasse, mi è sembrata la cosa più utile da fare». 

Oggi è il 19 luglio, fanno 57 giorni dal 23 maggio, i 57 giorni della lettera: c’è un’altra lapide con altri nomi: Paolo Borsellino, Eddie Walter Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Rosaria aveva ragione: la meta è ancora lontana, forse non immaginava che 22 anni dopo lo sarebbe stata ancora così tanto. Ma un figlio che va avanti è segno che non è tutto finito a Capaci e a via D’Amelio.  

Ps. 1) Questa serie del blog dedicata alla scorta di Capaci ha un debito verso molte fonti, ma soprattutto verso un libro preziosissimo: L’altra storia di Laura Anello, Sperling & Kupfer 1992. Grazie. Chi volesse saperne di più vi troverà il seguito a cominciare da Via d'Amelio.

2) Nei commenti dei lettori su Facebook ho letto più volte la disperazione di chi pensa che non nascano più uomini come quelli che abbiamo raccontato. È una trappola in cui non dobbiamo cadere. Pensare che in questo Paese si debba morire ammazzati per vedere riconosciuta la dignità del proprio lavoro significa non solo fare un torto agli agenti e ai magistrati che non hanno mai smesso di camminare, ma anche perpetuare la cultura del sospetto che ha isolato Falcone. L’unico modo che abbiamo per difendercene è studiare con spirito non ideologico le singole storie, per separare il grano dal loglio.  

(Fine)


19 luglio 2014

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