Caro don Stefano, ho letto della sentenza della Corte Suprema degli stati Uniti che qualche giorno fa ha capovolto una precedente sentenza degli anni ’ 70 emessa dalla stessa Corte, rendendo così illegale l’aborto. Mi sconvolge fin da quando ero giovane immaginare solo la possibilità di sopprimere una vita nel grembo della sua mamma. Il diritto alla vita del bambino è sacro, ma quando per tante ragioni che non sta a noi giudicare la mamma ritiene impossibile portare a termine la gravidanza che cosa si può fare? GEMMA
cara Gemma, la sentenza della Corte Suprema americana che citi, pubblicata lo scorso 24 giugno, ha ribaltato una precedente del 1973 (la “Roe vs Wade”, dal nome dei due protagonisti del processo) che aveva introdotto a livello federale il diritto all’aborto. Questo è avvenuto in assenza di una legge federale, che non è mai stata approvata perché richiede una maggioranza qualificata al Senato e una maggioranza semplice alla Camera, condizioni che non si sono mai verificate e che anche a breve è difficile che si realizzino.
La sentenza del 1973 fu un caso giudiziario che ebbe grande eco non solo negli Stati Uniti perché aprì, di fatto, le porte alla legislazione abortista in molti altri Paesi del mondo. Dibattuto dinanzi alla Corte Suprema nel 1972, andò a sentenza nel gennaio del 1973 con sette giudici su nove che votarono a favore della sussistenza del diritto di interrompere volontariamente la gravidanza anche in assenza di problemi di salute della donna o del feto, cosa che alcuni Stati negli Stati Uniti all’epoca permettevano.
La decisione si fondò sul 14° Emendamento della Costituzione americana, che tutela il diritto alla privacy come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo. La recente sentenza della Corte Suprema, la “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization”, ha stabilito che l’aborto non rientra più sotto l’ombrello del suddetto Emendamento e che, quindi, non è più un diritto a livello federale. Eliminato questo, si apre ora una fase un po’ confusa in cui spetterà a ognuno dei 50 Stati che compongono gli Stati Uniti d’America – qualora non l’abbiano già emanata e sempre, come detto, in assenza di una legge federale – stabilire se vietare o consentire l’interruzione volontaria di gravidanza. E qui deciderà il “colore” politico – progressista, e quindi “pro choice”, o conservatore, quindi “pro life” – di ciascuno di essi.
Oltreoceano, come in Europa e in Italia del resto, il tema dell’aborto è fortemente divisivo e politicizzato, come mostrano le due sentenze americane del 1973 e del 2022, prese da due composizioni di giudici opposte (progressista la prima, conservatrice l’ultima). Fin qui la cronaca. Credo che per esprimere un giudizio pacato su un tema così importante e per non cadere in posizione ideologiche dobbiamo fare due cose.
La prima è guardare gli eventi nella loro realtà, cioè come accadono. La seconda è di astenerci dai giudizi. Primo, dunque, la realtà. Guardando un’ecografia appare a occhio nudo il miracolo che si compie nel grembo di una donna: mamma e bambino sono uniti in modo simbiotico. Il complesso intreccio di interazioni biochimiche tra i due, ampiamente documentate nella letteratura scientifica, è presagio e condizione di una relazione molto intima che li unisce fin da quando i due gameti, maschile e femminile, si uniscono e che durerà per sempre. Quel bambino è vita!
Per questo riteniamo che l’aborto sia un atto radicalmente ingiusto e che la legge che lo consente sia parimenti ingiusta. E lo è ancor di più quando, come la nostra legge 194/78 che ha introdotto l’aborto in Italia, prevede a carico dei consultori, e soprattutto a favore delle donne, alcuni meccanismi volti «a rimuovere le cause che le porterebbero alla interruzione di gravidanza» (art. 5, ma si veda anche l’art. 2), spesso completamente disattesi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2271 esprime tutto questo definendo l’aborto «gravemente contrario alla legge morale».
Un pensiero che non è mai mutato fin dai primi secoli, come testimoniano tanti documenti ufficiali e il magistero costante dei Papi (innumerevoli, da ultimo, le dichiarazioni di papa Francesco). Secondo: astenersi dal giudizio, in primis verso le donne che accedono a tale pratica. L’ultimo giudice della nostra coscienza è Dio, che conosce nell’intimo le nostre fragilità e le condizioni in cui conduciamo la nostra esistenza. Detto questo a ciascuno di noi è chiesto di fare tutto il possibile perché ogni donna venga concretamente aiutata e ogni aborto venga evitato.
Il Movimento per la Vita e i Centri di Aiuto alla Vita, e insieme a loro altre organizzazioni ecclesiali e laiche, fanno per missione propria esattamente questo. Sostenerle direttamente o indirettamente nei tanti modi in cui questo è possibile (con l’ascolto, con le donazioni, con la preghiera, ecc.), è un modo per essere allo stesso tempo realisti e non giudicanti. Nelle scorse settimane noi di Famiglia Cristiana abbiamo condiviso alcuni approfondimenti a questo importante tema, che da sempre ci è caro.