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mercoledì 31 maggio 2023
 

Al Maliki e Obama, parlarsi e non capirsi

Il premier iracheno Nur Al-Maliki con il presidente Obama alla Casa bianca (Reuters).
Il premier iracheno Nur Al-Maliki con il presidente Obama alla Casa bianca (Reuters).

Il recente viaggio negli Usa del premier iracheno Nur al-Maliki, e l'incontro con i pezzi grossi della Casa Bianca (il presidente Obama, il vice presidente Biden, il segretario di Stato Kerry), non è bastato a nascondere le sempre maggiori difficoltà nel rapporto tra "liberati" e "liberatori".

La dirigenza Usa rimprovera al primo ministro sciita un'eccessiva sensibilità alle esigenze della corrente religiosa da lui rappresentata e che forma il 60-65% dei 32 milioni di iracheni. I sunniti, che con Saddam erano al potere, sono minoranza, ma con il 30-35% sono una quota della popolazione che non può essere schiacciata né trascurata. La strategia di Al-Maliki presenta, agli occhi degli Usa, due fondamentali difetti: da un lato, privilegiando in modo sfacciato gli sciiti, il premier ha rovinato i buoni rapporti con le tribù sunnite che il generale David Petraeus aveva costruito nel 2007 ai tempi del "surge", l'aumento delle truppe americane di stanza in Irak; dall'altro, la stessa strategia l'ha lentamente ma inesorabilmente portato a stringere i rapporti con l'Iran, l'unico altro Paese con un regime sciita nella regione, una delle bestie nere degli Usa. La Casa Bianca non è contenta di Al-Maliki anche perché, nel frattempo, le critiche aumentano: ultimo episodio, la lettera a Obama di sei influenti senatori (tra i quali anche John McCain, che nel 2008 fu sconfitto proprio da Obama nella corsa alla presidenza) per chiedere di imporre all'Irak una diversa linea di politica estera.

Anche Al-Maliki, però, ha le sue rimostranze. In particolare, "rimprovera" agli Usa l'incapacità (o la non volontà) di mettere un freno al terrorismo di marca sunnita, più o meno legato ad Al Qaeda, che a Baghdad sospettano fomentato, se non proprio organizzato e finanziato, da Paesi alleati degli Usa come Arabia Saudita e Qatar. Una preoccupazione più che legittima, se pensiamo che da molto tempo ormai in Irak si muore al ritmo di 800-1000 civili al mese. Ma che non avvicina la soluzione del problema: difficile stabilire se sia nato prima l'uovo (gli Usa che privilegiano Arabia Saudita e soci) o la gallina (l'inclinazione troppo sciita di Al-Maliki).


Questi e altri temi di esteri anche su fulvioscaglione.com

05 novembre 2013

 
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