Il centro di Aleppo massacrato dai bombardamenti (Reuters).
Le elezioni organizzate da Bashar al Assad in Siria sono sempre state finzioni per i media. Spettacoli messi in scena per dimostrare che il regime stava saldo in sella. L'ultima, nei giorni scorsi, sarebbe stata anche più farsesca del solito (mentre prima si andava col candidato unico, questa volta c'erano due finti candidati come ciliegina sulla torta) se non fosse arrivata, dopo tre anni di guerra civile e 150 mila morti, a confermare un regime che non ha credibilità né futuro.
Naturalmente le opposizioni armate si sono fatte un punto d'onore di cercare di impedire, o almeno ostacolare in ogni modo, lo svolgimento della farsa elettorale. Così i civili, presi tra le baionette del regime che li spingeva verso i seggi e le cannonate dei ribelli che dai seggi li volevano tenere lontani, hanno pagato il solito tributo di sangue.
La giornata elettorale è costata almeno 50 morti nella sola Aleppo, come sempre epicentro degli scontri. Nei bombardamenti è stato colpito e parzialmente distrutto, come comunica la Comunità di Sant'Egidio, anche l'Arcivescovado Armeno. Per fortuna senza vittime, ma con un enorme significato simbolico: Aleppo è stata per secoli un centro della convivenza tra cristiani e musulmani e fino a non molto tempo fa, su quasi 4 milioni di abitanti, vantava 300 mila cristiani di 10 diverse confessioni, terza città cristiana del Medio Oriente dopo Beirut (Libano) e Il Cairo (Egitto).
Ma da tempo, come ha confermato anche di recente l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, monsignor Boutros Marayati, i cristiani fuggono dalla città. E la fuga dei cristiani, come sempre in Medio Oriente, è il segno più sicuro di disgregazione delle comunità e di nuove e se possibile più gravi sciagure.