Può sembrare un assurdo, ma nella Bibbia c’è un’asina che diventa la voce di Dio che chiama un uomo a stravolgere la sua missione, da avversario a profeta d’Israele. Siamo nei capitoli 22-24 del libro biblico dei Numeri. Protagonista è il mago Balaam – della cui fama si hanno tracce anche in testimonianze extrabibliche – assegnato ora al popolo degli Aramei ora agli Ammoniti, nazioni ostili a Israele che è in marcia verso la terra promessa, dopo aver lasciato alle spalle l’oppressione egiziana.
Gli Ebrei stanno attraversando le steppe di Moab nella Transgiordania meridionale, quasi alle soglie della meta agognata. Il loro passaggio crea una reazione tra le popolazioni locali, Moabiti e Ammoniti. Il re Balak di Moab – anziché ricorrere alle armi – decide di affidarsi alla magia di Balaam perché con le sue prodigiose maledizioni riesca a bloccare questa orda di invasori. Il mago si avvia per compiere la sua missione cavalcando un’asina.
Qui il racconto si fa favolistico: gli animali parlanti sono, infatti, nelle favole di Esopo, Fedro, La Fontaine e così via. Il valore dell’evento è simbolico. L’asina con una serie di colpi di scena emozionanti (si legga Numeri 22, 22- 35) si arresta e non vuole avanzare per recarsi verso le tende di Israele, perché aveva visto che a sbarrare la strada c’era un angelo del Signore con la spada sguainata. Dopo vari tentativi vani di farla procedere, dialogando con essa, Balaam vede anch’egli quell’angelo e scopre che era lì per cambiare la sua missione in senso opposto. Gli fa invertire il cammino e ritornare dal re Balak: «Tu dirai soltanto quello che io ti dirò». Da allora la vita di Balaam è trasformata perché, malgrado sé stesso, diventa un profeta di Dio: «Il Signore mise una parola in bocca a Balaam» e l’oracolo che uscirà per ben quattro volte sarà non una maledizione, bensì una solenne benedizione innica che celebra la grandezza di Israele. Anzi, in un passaggio delle sue parole c’è persino un ancora nebuloso annuncio messianico, intravisto attraverso due segni, una stella e uno scettro: «Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma da lontano: una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele» (24,17).
Questi simboli regali nella rilettura giudaica posteriore diventano emblemi messianici. Infatti l’antica versione della Bibbia in aramaico, la lingua popolare usata nei secoli successivi dagli Ebrei, traduce così quel passo: «Un re spunta da Giacobbe, un Messia sorge da Israele». Lo scettro è ormai quello del re-Messia. Dio, perciò, può scegliere anche una persona lontana da lui, anzi, ostile e stravolgendo i suoi pensieri e interessi, lo trasforma in un missionario della fede e della speranza messianica. È un po’ l’anticipazione della vicenda di san Paolo.
Ma lasciamo Balaam con una menzione finale per la sua asina, che nella Bibbia è la cavalcatura reale in tempo di pace (Zaccaria 9,9-10). Il poeta francese Francis Jammes nel 1912 ha scritto una bella Preghiera per andare in paradiso con gli asini. Ne citiamo qualche frase: «Quando sarà l’ora di venire da te, mio Dio,... dirò agli asini, amici miei: Venite con me, poveri cari animali bastonati... Fa’, o Dio, che nel paese delle anime, io assomigli a questi asini che allora specchieranno la loro povertà umile e dolce nella limpidezza dell’eterno amore».