Caro don Stefano, ripenso all’incontro mondiale delle famiglie di giugno scorso. Una volta, e non tantissimi anni fa, delle famiglie erano parte integrante anche i nonni, qualche bisnonno e qualche prozia. Quindi mi è nata, da subito, la nostalgia di quel tempo così bello e umano, con il rimpianto, crescente, di un qualcosa di prezioso che si è perso per strada, insieme con tutto il buono del passato, con il progresso. Papa Francesco tuona che non si possono lasciar ai margini gli anziani... È anziano anche lui, ora, e lo capisce meglio dei più giovani, con quel ginocchio sempre più dolente. Per i reduci della vita (con le loro più o meno importanti cicatrici, provocate dalle battaglie più difficili della vita) cosa intendiamo fare? Senza più amore-affetto, ai margini, non si vive, poi così tanto... Anzi, ci si lascia morire prima... Anche i neonati, staccati, per qualsiasi motivo, dalla mamma, si bloccano nella loro crescita. L’amore è alla base di tutta la vita, fin dagli inizi. E poi... il covid non ha sfoltito abbastanza il numero degli anziani? Li dobbiamo, anche, lasciar morire, soli, di crepacuore? Sogno belle cittadelle fiorite, nel cuore della città, fatte di cooperative di appartamentini (riempiti dei ricordi di un passato migliore) per gli anziani, che sono il cuore saggio di ogni città: se non altro ci sarebbe, almeno, un aiuto reciproco tra gli anziani. A Perugia la Caritas ha già creato tutto ciò con la Fondazione Santa Caterina. È un caso isolato? Promuoviamo e pubblicizziamo al massimo, con generosità e altruismo, tali iniziative umane e giuste! Altrimenti ogni anziano che muore solo, senza affetto, è una spina aguzza, che ci strazierà il cuore, per sempre. Ma... abbiamo ancora un cuore? Teniamo presente che raccogliamo quel che seminiamo. E anche tutti noi, fra un po’ di anni, potremmo trovarci tra quegli anziani soli e abbandonati. Ma sono fiduciosa in un futuro migliore. VITTORIA CIRILLO
Cara Vittoria, la tua lettera, che ho ridotto per motivi di spazio, mi ha toccato molto. Si capisce che non è la nostalgia il sentimento che anima la tua penna, ma una realtà che tocca la carne della tua stessa esistenza e che in questo modo esplicita un aspetto della società contemporanea che ci provoca tutti. La pandemia, con le stragi di anziani nelle Rsa durante la prima ondata del 2020, ha reso evidente, se ce n’era ancora bisogno, la criticità della condizione del mondo senile in Italia. Una categoria di cittadini le cui condizioni stanno diventando sempre più difficili a causa dell’aumento delle malattie croniche e invalidanti. Certo, nella società patriarcale, quella che è sopravvissuta fino a diversi decenni fa, le generazioni vivevano insieme, amandosi e sopportandosi, garantendo a tutti fino alla fine dell’esistenza terrena un contesto umano almeno abitabile, se non sempre accogliente (non vogliamo essere idealisti rispetto a un passato con molti limiti). La transizione a una società post-industriale, caratterizzata da un aumento esponenziale della mobilità e da una crescente fluidità del mondo del lavoro, avvenuta in pochi decenni, ha certamente risolto molti problemi ma ne ha posti altri. È sempre stato così nella storia: pensiamo solo alla rivoluzione industriale a metà del ’700. Il mondo sta letteralmente correndo a perdifiato e non accenna a diminuire la sua velocità. Anzi, semmai la sta accelerando.
La tecnologia ha cambiato radicalmente la nostra esistenza, rendendola maggiormente capace e performativa nell’abitare il mondo, ma favorendo al contempo il rapido insorgere di una disumana cultura dello “scarto” – o, meglio, la sua trasformazione perché gli “scarti” da che mondo è mondo sono sempre esistiti –, in cui chi non è più adatto a una “società funzionale” può accomodarsi alla porta. O, almeno, non scocciare. Parlò di tale “cultura”, qualificandola come tale, come sempre papa Francesco, che nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (non a caso il manifesto del suo pontificato), ha scritto: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (n. 53).
Inutile parlare di un passato che non tornerà più. Occorre, invece, guardare la realtà in faccia: il nostro Paese è fra i peggiori in Europa nel numero di posti letto per anziani sopra i 65 anni. E allora bisogna saper “sognare”, guardando avanti, ripensando il futuro e avviando progetti pilota, sostenibili economicamente, per capire quali di essi oggi, fondati su principi di solidarietà intergenerazionale, sono maggiormente adatti al mondo nuovo che avanza. Il nuovo Governo sarà chiamato a dare risposte, facendo tesoro di quanto prodotto da quello precedente. Mi riferisco al promettente progetto di legge delega basato sulla “Carta dei Diritti degli anziani”, redatta da una commissione ministeriale presieduta da monsignor Vincenzo Paglia. Il progetto della Caritas che segnala Vittoria, invece, è un buon esempio del contributo che anche la Chiesa, come sempre, è capace di fornire nelle questioni più scottanti del Paese.