Caro Direttore, ho provato sincero rimpianto e commozione per la salita al cielo del Papa emerito Benedetto XVI: autore della sua prima enciclica Deus Caritas Est (“Dio è amore”), è stato un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Papa Ratzinger godeva di buona salute, ma era fisicamente molto fragile. Era perfettamente lucido, sorridente e con tanta voglia di comunicare. Aveva modi gentili e raffinati e trattava gli altri sempre con estrema delicatezza. Il 29 giugno 2021, nel giorno della solennità dei santi Pietro e Paolo, ha festeggiato il 70° anniversario della sua ordinazione sacerdotale,avvenuta nel Duomo di Frisinga,in Baviera. Un periodo intenso di studio e preghiera per il giovane Joseph, ma anche di formazione per quello che diventerà il suo pane quotidiano, la teologia, scienza che gli ha consentito di insegnare in svariate università tedesche. Nel ritratto di uno che lo conosceva bene, il portavoce dell’Arcidiocesi di Monaco Winfried Rohmel, il Papa emerito era un uomo timido e buono, con il dono della parola e la capacità di ascolto e di analisi, con sullo sfondo la consapevolezza della grazia del perdono. È stato il Papa più colto e intelligente del dopoguerra. Dalla sua figura semplice traspariva l’uomo di grande cultura e di straordinaria fede, che sapeva guardare ai bisogni della Chiesa e del mondo con la serenità di chi è pienamente conscio che tutto è posto nelle mani del Signore. Ha lottato vigorosamente contro la pedofilia del clero, imponendo un cambio di rotta nelle coscienze, nelle norme e negli atteggiamenti della Chiesa nei confronti dei preti colpevoli. Grazie, Sua Santità, per il suo luminoso magistero e il profondo amore per la verità! FRANCO PETRAGLIA
Grazie a te, caro Franco, per questa tua lettera densa di affetto, che bene rappresenta anche tanti altri nostri lettori, che in questi giorni stanno inviando mail e lettere per ricordare la figura eminente di Benedetto XVI. Esse testimoniano l’amore che il popolo di Dio nutre per lui, come abbiamo constatato del resto nei giorni che hanno preceduto le esequie celebrate in Vaticano giovedì 5 gennaio, in cui moltissimi fedeli giunti a Roma hanno voluto rendergli l’ultimo omaggio prima e dopo il funerale, celebrato con estrema sobrietà e compostezza. Vox populi, vox Dei, verrebbe da dire.
Un calore umano che si è conquistato sul campo nei suoi lunghi anni di ministero, insieme a molte amarezze, che gli sono venute soprattutto da dentro la Chiesa nel corso del suo lungo soggiorno romano, sia da Prefetto della Congregazione della dottrina della fede sia, soprattutto, dopo l’elezione a Pontefice. Ma questo è il destino di ogni apostolo di Cristo. Tornando all’amore della gente, non possiamo non ricordare come Joseph Ratzinger descriveva il giorno dell’ordinazione sacerdotale sua e di suo fratello Georg, avvenuta a Frisinga il 29 giugno 1951, e quello della loro prima Messa (l’8 luglio seguente) nella chiesa parrocchiale di Sankt Oswald a Traunstein, con scene di giubilo e di calda partecipazione dell’intero villaggio di Hufschlag, in cui abitava la famiglia Ratzinger. La Germania usciva allora dalla guerra, distrutta nel morale e nella sua identità profonda, con un forte senso di colpa per le tremende nefandezze compiute dal nazismo, che durò poi per molti decenni, e con intere città e villaggi cancellati sotto i bombardamenti alleati, che poco lasciarono in piedi delle meravigliose architetture medievali che costellavano la gloriosa nazione tedesca (si salvarono solo le cittadine universitarie di Heidelberg e Tübingen, insieme a poche altre).
Eppure quell’evento di chiesa, con due fratelli ordinati lo stesso giorno, rappresentava al contempo una grande festa civile e religiosa, coinvolgendo tutta la cittadinanza nei festeggiamenti. Mi sembra che questa unità profonda tra vita civile e vita ecclesiale abbia forgiato in profondità lo spirito di Joseph Ratzinger, che – e qui forse azzardo – grazie proprio a questo patrimonio interiore è rimasto affascinato dalla figura di sant’Agostino e dalla sua opera “De civitate Dei”, in cui il vescovo di Ippona, in un momento tragico della storia, mostrava la superiorità della “città di Dio”, luogo della grazia, rispetto alla “città terrena”, segnata dal peccato. Eppure quelle due “città” nella Baviera di allora convivevano in buona armonia, in tempi in cui la fede cristiana era ancora molto viva e animava culturalmente e moralmente la vita civile. Seguiranno anni e poi decenni, in un processo che si sta compiendo solo ora, in cui quelle due città torneranno a guardarsi con sospetto, a causa di una secolarizzazione rapida, che come un rullo compressore sta rendendo sempre più marginale la fede nella vita della della gente, anche nella sua amata Baviera.
Forse è nella chiave di questo doloroso processo che possiamo rileggere la vocazione profonda di Joseph Ratzinger, quel suo tentativo, da gigante “gentile” e mai duro della teologia qual era (tanto che qualcuno vorrebbe assegnargli il titolo di “Dottore della Chiesa), di rendere ragionevole la fede cristiana con il suo pensiero e con le sue opere, di entrare in dialogo con il mondo degli intellettuali per conquistarli alla causa di Cristo (anche attraverso la trilogia su Gesù di Nazareth scritta durante il suo Pontificato), chiave di accesso, poi, all’intera società.
Le cose poi hanno preso una piega diversa: la ragione come facoltà umana ha speso le sue migliori energie nella dimensione pratica – cioè su come rendere il mondo più vivibile con le scienze sperimentali e le loro applicazioni tecniche – più che su quelle umanistiche, che affrontano le ragioni del senso del vivere, delegate ormai alla coscienza individuale, diventata, nella stessa lettura storica di Ratzinger preda di quei tanti “ismi” che nella sua famosa omelia nella “Missa pro eligendo romano pontifice”, il 18 aprile 2005 alla vigilia della sua elezione a Pontefice, ha denunciato come esiti della – come l’ha definita lui con una fortunata espressione – “dittatura del relativismo”: marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo individualismo, ateismo, misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo, ecc.
Forse, ancora, sono stati proprio quei ricordi di gioventù di una fede che ancora celebrava la Messa con una liturgia solenne, ma per lo più incomprensibile alla gente comune (in latino e con il sacerdote rivolto all’altare, dando le spalle all’assemblea) – unita soprattutto al suo desiderio di riavvicinare gli scismatici lefebvriani e di aprire le braccia ai circoli cattolici tradizionalisti, che quello scisma sempre minacciano – a portarlo a reintrodurre, con il Motu proprio “Summorum pontificum” del 2007 (poi sostanzialmente abolito da Francesco nel 2021), la possibilità di celebrare la Messa secondo l’antico rito, precedente alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Rimangono, ad ogni buon conto, come sua eredità tantissimi libri (un box che ne elenca diversi lo trovate a pagina 22 di questo numero di Famiglia Cristiana) e tanti discorsi e omelie con cui la teologia contemporanea non potrà non confrontarsi.
Sarà, in ogni caso, la storia a giudicare l’opera di questo grande Papa. A noi spetta ora il compito di pregare per la sua anima e, da cristiani coscienti del dono della fede che abbiamo ricevuto, di approfondire il suo pensiero e la sua vita. Per questo, oltre ad alcuni articoli che troverete su questo numero (cfr. pagine 14-25), abbiamo deciso di pubblicare un numero speciale a lui interamente dedicato dal titolo “Benedetto XVI, la grandezza dell’umiltà”, che potete trovare in edicola e in parrocchia o scaricare gratuitamente al seguente link