Per tanto tempo, almeno fino ai miei 30 anni, e cioè fino al 1985, sono riuscito a rigirare fra le mani il pallone, e, in generale, il mondo del calcio, come un giocattolo.
Dentro un recinto ideale, avevo collocato figurine, prati, spogliatoi, penne, microfoni, radioline... le campane della domenica mattina, le code ai botteghini, le attese sulle gradinate, i fischi di inizio contemporanei, e le voci senza volto di "Tutto il calcio minuto per minuto".
Ma mercoledì 29 maggio 1985, purtroppo, il destino ha mandato per sempre in soffitta quel giocattolo. Curva Z: come mai migliaia di tifosi della Juve pacifici, famiglie senza nessuna smania di violenza, nello stesso settore dei terribili hooligans? E come mai un cordone di pochi poliziotti impauriti a separarli? Neppure il tempo di riflettere un attimo, e, 2 ore prima dell'incontro, cominciarono le cariche degli inglesi contro i nostri connazionali, che indietreggiarono, compressi uno sull'altro, sparendo in una zona d'ombra.
Non lo potevo ancora sapere, ma quella macabra zona d'ombra era lo spartiacque, per loro, fra la vita e la morte, e per me, e tanti altri, fra il calcio-fiaba e il calcio-strazio. Fu veramente l'Hiroshima del pallone, la "bomba atomica", nella storia del teppismo da stadio, che, quando esplode, cambia chiunque di noi.
Nella strage dell'Heysel, l'uomo "bestiale" ha aggredito l'uomo "innocente". Se volessi usare il linguaggio biblico, senza esagerare, direi che quel giorno ho visto Caino scegliere la violenza, e sopprimere, purtroppo, Abele