Budapest, 6 aprile 1924: le Nazionali d'Italia e Ungheria prima della partita. In piedi, con la maglia bianca, l'esordiente Combi sorride ai fotografi.
Visto che si avvicinano i mondiali di calcio, parliamo di Nazionale, anche per motivi scaramantici, e della sconfitta peggiore della sua storia. Accadde giusto 90 anni fa, il 6 aprile 1924, a Budapest, contro l’Ungheria, ma per alcuni motivi quella disfatta pare avere caratteristiche vicine al calcio odierno. O, se preferiamo, corsi e ricorsi... Era un calcio ancora “arcaico”, poco organizzato, quello del 1924; l’unico torneo ufficiale esistente era quello olimpico oltre, naturalmente, ai campionati nazionali.
In Italia, le due squadre che vanno per la maggiore sono il Genoa e il Bologna. I liguri hanno vinto l’ottavo scudetto l’anno prima, mentre gli emiliani rappresentano la novità emergente del calcio dell’epoca. È un anno particolare, il 1924, per il calcio italiano. Per la prima volta, infatti, al posto di una commissione tecnica, la guida della Nazionale viene affidata dalla Federcalcio a un commissario unico. La scelta cade su un funzionario della Federazione, scelto per la lunga esperienza di calcio giocato tra Italia e Svizzera, ma anche per la conoscenza delle lingue e del calcio estero. Si chiama Vittorio Pozzo e avrà il compito di portare la squadra alle Olimpiadi che si svolgeranno, tra maggio e giugno, a Parigi. Poi, potrà tornare dietro la scrivania nel suo ufficio della Federcalcio.
Dopo una prima amichevole contro la Spagna, finita 0-0 e considerata un buon risultato, vista la caratura degli iberici, l’Italia va a Budapest per un secondo e ultimo confronto di preparazione, contro l’Ungheria, prima di partire per la Francia. L’Ungheria è una delle squadre più forti d’Europa, esponente di quello che in quegli anni si chiama “calcio danubiano”, dai nomi delle nazioni attraversate dal fiume, tutte molto competitive: l’Austria, la Cecoslovacchia e, appunto, l’Ungheria. È un calcio più lento di quello che si gioca in Gran Bretagna, con marcature totalmente a zona. Il perno del gioco è il numero 5, anche se i numeri dietro le maglie sono ancora una rarità: poche nazioni li adottano. In Italia, per esempio, solo a partire dal 1938 i giocatori avranno i numeri di maglia sulla schiena.
Pozzo vorrebbe convocare i migliori per farli giocare assieme e assemblare un efficiente collettivo. Ma gli interessi del campionato sono superiori a quelli della Nazionale. Così, Genoa e Bologna rifiutano di prestare i migliori giocatori per un’amichevole, promettendo che solo dopo la fine del campionato daranno i loro calciatori alla Nazionale. Come oggi, o quasi… Pozzo deve fare di necessità virtù: andare a Budapest contro una squadra forte, senza i migliori rappresentanti del calcio nostrano promette poco di buono. Solo il capitano, il terzino sinistro genoano Renzo De Vecchi, soprannominato “il figlio di Dio” per la bravura, risponde sì alla chiamata del nuovo commissario unico. Negli altri ruoli, il dirigente deve improvvisare con giocatori inadeguati a una sfida di quel genere.
In porta fa esordire un giovane di 22 anni. Si chiama Gianpiero Combi, è torinese e gioca nella Juventus. Sta facendo bene e, anche se inesperto, potrebbe essere lui il portiere capace di sostituire senza eccessivi rimpianti il titolare, Giovanni De Pra, del Genoa. Il resto della squadra è inventato completamente, o quasi. Adolfo Baloncieri, grande mezzala, viene spostato nel ruolo di centravanti, non essendocene altri degni della maglia azzurra. Luigi Cevenini, trequartista estroso e dal tocco di palla delizioso e superiore alla media, va addirittura in mediana, a coprire l’assenza del genoano Barbieri, mentre il numero 5, quello del regista, è affidato a Felice Romano, della Reggiana, al posto del ben più energico ed esperto Burlando, del Genoa.
Tanto per capire di che calcio stiamo parlando, Romano viene caricato sul treno che va da Milano a Budapest solo alla stazione di Reggio Emilia, così come Monti viene fatto salire a Padova, città nella quale gioca. I due non hanno mai fatto un allenamento con gli altri compagni d’avventura. Si va così, in modo un po’ dilettantesco, ad affrontare una squadra che ha già dimostrato di essere nettamente superiore per organizzazione, tecnica ed esperienza. Eppure, ingenuamente, la delegazione italiana è convinta di poter fare bella figura.
I sogni s’infrangono nella più grave sconfitta, in termini di punteggio, della storia della Nazionale di calcio: 7-1 per l’Ungheria, che dilaga nella ripresa dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio per 2-0. L’unica rete azzurra la segna Cevenini, ma su rigore e solo sul 7-0. Il settimo gol arriva al 25° della ripresa, poi i magiari decidono di non continuare a umiliare gli inesperti italiani. E quel giovane portiere esordiente, che per sette volte ha raccolto il pallone nella propria porta? Beh, Combi non dimenticherà mai l’esordio in Nazionale e per un po’ starà lontano dalla maglia azzurra ma la sua carriera sarà una delle più belle in assoluto: vincerà cinque campionati con la Juventus, di cui quattro consecutivi e giocherà in Nazionale 47 partite, vincendo il campionato del mondo nel 1934, una Coppa Internazionale, antesignana del Campionato europeo per nazioni, edizione 1933-35, e la medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1928, ad Amsterdam. Per ritrovare un portiere capace di superarlo nel numero di presenze in Nazionale, bisognerà attendere 52 anni, il 1976, con un certo… Dino Zoff.
Ma cosa scrissero i cronisti di quel disastroso 7-1? «Combi subì una messe di gol senza propria colpa, perché seppe parare difficili palloni; fu messo in posizione disgraziata dal collasso della difesa». Quanto ai dirigenti di Genoa e Bologna, finito il campionato con la vittoria del Genoa (per la nona e ultima volta nella storia, dopo una rissa a Bologna tra giocatori, coinvolto anche l’arbitro), bontà loro, concessero campioni ormai stanchi e spompati dalle fatiche del torneo.
Alle Olimpiadi Combi fece la riserva di De Pra, ma la Nazionale targata Genoa e Bologna, dopo aver battuto la Spagna (solo su autogol) e il tenero Lussemburgo, venne eliminata ai quarti di finale dalla Svizzera. E l’Ungheria? Era una delle favorite per la vittoria finale ma a causa di divergenze con i dirigenti, ci fu un ammutinamento dei calciatori che persero, volontariamente e sorprendentemente, per 3-0 contro il modesto Egitto. Una partita “venduta”, a dimostrazione che i calciatori erano già all’epoca più potenti di chi li doveva dirigere.
Quanto a Vittorio Pozzo, fu uomo di parola. Gli avevano chiesto di farsi da parte dopo i Giochi olimpici. Lui salutò e tornò fra regolamenti da studiare e carte bollate della Federazione, in attesa di una rivincita che arriverà e lo farà diventare l'allenatore più vincente della storia della Nazionale calcistica.