Caro don Stefano,
giornali e televisioni ripetono all’infinito dati allarmanti sulle carceri: sovraffollamento, suicidi in aumento, trattamenti inumani, degradanti e carenza di personale. Il sistema penitenziario è al collasso, con una violazione sistematica dei diritti fondamentali dei detenuti. Le proposte per risolvere la crisi sembrano più ideologiche che soluzioni concrete.
Costruire nuove carceri richiederebbe ingenti risorse economiche e anni di tempo. Espellere i detenuti stranieri è un’opzione impraticabile a causa di ostacoli burocratici e di mancati accordi internazionali. Anche l’aumento delle misure alternative alla detenzione richiederebbe un potenziamento significativo del personale, con tempi di attuazione molto lunghi.
Intanto, la violenza e la precarietà regnano sovrane all’interno delle mura carcerarie, in un contesto dove i diritti fondamentali dei detenuti sono messi da parte, dimenticati.
Nessuno, poi, sembra interessarsi davvero a ciò che accade dietro le sbarre. I meccanismi che regolano le relazioni tra detenuti e guardie, la formazione delle gerarchie carcerarie, l’impatto della violenza sulla vita in cella: sono tutti aspetti trascurati, nonostante siano fondamentali per comprendere la realtà carceraria. La violenza è parte integrante di questo sistema. Un mondo a sé stante, dove ogni gesto e ogni parola nascondono significati profondi.
L’unica soluzione concreta e realistica per affrontare la drammatica situazione del sovraffollamento carcerario è un provvedimento straordinario come l’indulto e l’amnistia. Esperimenti passati hanno dimostrato che queste misure non portano a un aumento dei reati, smentendo le paure di un possibile allarme sociale.
Svuotare le carceri consentirebbe di ripensare completamente il sistema penitenziario, rendendolo più umano e in linea con i principi costituzionali.
GAIA FARDINI
(VOLONTARIA AREA PENALE)
Cara Gaia,
chi meglio di te che fai volontariato in carcere e affronti con uno sguardo illuminato dalla fede i nostri fratelli “ristretti” può provare a dare col cuore una soluzione ragionevole al dramma delle carceri?
I suicidi del 2024 nel momento in cui scrivo sono 75 (e anche uno solo è troppo!), mentre l’ultimo campanello d’allarme di una situazione insostenibile è suonato nel carcere romano di Regina Coeli il 14 novembre, quando un tumulto scoppiato tra arabi e latinos ha provocato danni materiali e, soprattutto, ferimenti di alcuni agenti della polizia penitenziaria, altra categoria penalizzata da un sistema che è carente di umanità.
L’indulto e l’amnistia possono risolvere il problema, anche quando non sono generali ma solo per alcuni particolari reati?
Questi sono strumenti giuridici straordinari del nostro ordinamento per affrontare problematiche di natura penale e carceraria e hanno lo scopo di ridurre il sovraffollamento dei penitenziari, alleviando così la criticità più evidente: la grave insufficienza strutturale e gestionale.
Mentre l’indulto consiste nella remissione totale o parziale della pena inflitta per alcuni reati meno gravi, senza però estinguerli (che restano così iscritti nel casellario giudiziale) e senza eliminare le pene accessorie (ad esempio interdizione dai pubblici uffici, da una professione o da un’arte), l’amnistia, invece, estingue il reato e, quindi, la relativa pena.
Dato l’impatto emotivo sulla popolazione (l’impunità dei rei) e la loro natura emergenziale, entrambi i provvedimenti sono votati con legge ordinaria dal Parlamento, ma con maggioranza qualificata dei due terzi (articolo 79 della Costituzione).
Con la decongestione delle carceri si possono garantire condizioni più dignitose per i detenuti e si riduce il rischio connesso al sovraffollamento carcerario, che rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per cui abbiamo ricevuto molte condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Inoltre, si riduce il carico di lavoro del personale penitenziario, sottoposto spesso a turni stressanti, e si liberano risorse per focalizzarsi sul reinserimento sociale, che è il fine principale della pena secondo la nostra Costituzione.
Ma indulto e amnistia sono solo soluzioni temporanee, perché poi le carceri si riempiono di nuovo e, se non si procede con riforme strutturali e politiche preventive per garantire l’efficacia e la sostenibilità del sistema penitenziario nel lungo periodo (come accade da decenni), si è sempre daccapo.
Inoltre, il loro utilizzo indiscriminato può generare un senso di impunità e può minare la fiducia della società nella giustizia penale.
Per questo sono concesse molto raramente. Papa Wojtyla, nel 2000, in occasione del Grande Giubileo, perorò l’amnistia andando persino in Parlamento, ma non fu concessa. Anche Francesco la chiese nel 2015, invano.
Difficile che in una società e in un tempo come i nostri in cui le scelte politiche, sostenute dal voto popolare, vanno piuttosto verso la repressione, si possa arrivare a soluzioni simili.
Resta allora la soluzione più sensata, cioè la gentilezza da parte di chi lavora e di chi fa volontariato in carcere per umanizzare quei luoghi.
Gentilezza che etimologicamente significa “dare vita”, quella qualità dello spirito che si attiva quando ci si sente generati dall’amore e, quindi, ci fa generare a nostra volta.