I video, diffusi dalle Iene per "vestire" il servizio che fatto conoscere al grande pubblico il presunto gioco macabro, da quel giorno noto alle cronache come “blue whale”, nulla avevano a che fare il suddetto. Lo ammette l'autore del servizio scusandosi per la leggerezza di non aver verificato. Ancora non sappiamo se esista davvero “blue whale”, ma sappiamo che spaventa davvero e fa arrivare alle Procure della Repubblica un sacco di segnalazioni. Sappiamo anche che fenomeni di autolesionismo, quale che ne sia l’origine, sono a rischio di far presa su menti fragili, di generare un effetto emulazione, che la Rete potrebbe amplificare.
Sarà anche vero che la falsità dei video - erano falsi nel senso che esistevano da prima e indipendentemente e che non sono collegati al “blue whale” vero o presunto che sia, - non prova l’inesistenza del “blue whale”, ma non ne prova neanche l’esistenza e, di sicuro, non contribuisce alla chiarezza, anzi.
La forzatura da una parte e il tono dall'altra provano, invece, oltre ogni ragionevole dubbio, che talvolta chi maneggia la tv, andando in casa delle persone, dimentica di maneggiare con essa anche una enorme responsabilità. Quando si tratta di questioni delicate, come l'autolesionismo o il suicidio di un adolescente, quando si tratta di questioni di salute (ricordate Stamina vero, che le Iene volevano a carico del sistema sanitario nazionale?) non si può scherzare.
È una leggerezza che pesa sulla vita delle persone che della Tv si fidano e sono tante. Una responsabilità tanto maggiore, quando si contano grandi ascolti. Ma basterebbe un solo caso di emulazione per dare alla leggerezza un peso smisurato.
A proposito, Le Iene avevano già avuto un ruolo nell’accreditare di fiducia presso il grande pubblico il cosiddetto metodo Stamina, rivelatosi fumo, privo di ogni barlume di scientificità, venduto a persone disperate. In quel caso, dalle Iene, che avevamo imparato ad apprezzare per la graffiante ironia nello smascherare ignoranze e mancanze del potere, ci saremmo aspettati che sbertucciassero la cura truffaldina mettendo in guardia le vittime potenziali.
Invece tutto il contrario: hanno dato al metodo una vetrina forse insperata, convincendo il grande pubblico della sua bontà. Col risultato che non solo le famiglie hanno buttato soldi in un’illusione inutile quanto dolorosa, ma anche lo Stato, sotto la pressione dell'opinione pubblica, ha investito – colpevolmente, alla ricerca di consenso – milioni di euro (soldi pubblici) nella sperimentazione che la segretezza del metodo avrebbe dovuto scoraggiare, per la mancanza dei requisiti minimi di trasparenza previsti per l'accesso ai protocolli sperimentali.
L’esperienza della leggerezza malriposta evidentemente non è servita di lezione: le Iene hanno replicato dando una vetrina a un gioco pericoloso che non si sa se esiste, accreditandolo con video taroccati per dar forza al discorso, contro le regole della deontologia giornalistica, che - in caso di minori e di temi sensibili - impongono massima cautela e bassissimo profilo.
Il problema non è parlare o non parlare delle cose, ma il modo con cui lo si fa. Sarà anche vero che lo "stile Iene" è leggero e sopra le righe per definizione, ma le Iene erano nate iene per fare le pulci al potere che ha gli anticorpi per difendersi anche dai graffi più feroci. Quand’è che hanno deciso di cambiare fronte e di cominciare a fare le iene sulla pelle e sulla fragilità dei telespettatori?