Anni fa avevo scritto a Famiglia Cristiana una lettera (che era stata pubblicata) in merito al “caso Perruche”, un adolescente francese, nato con un grave handicap, che aveva intentato causa ai medici i quali, non avendo avvisato della malformazione i suoi genitori in tempo utile per l’aborto terapeutico, si erano resi responsabili di avergli addossato il carico di una vita di sofferenza. Mi interrogavo, in quella lettera, sull’opportunità di “imporre” la vita a chi, dagli esami prenatali, risultava sicuramente e gravemente menomato. Per onestà, mi sento ora in dovere di riferire quanto ha scritto una mia allieva di 17 anni nata con tetraparesi spastica e dunque totalmente dipendente dagli altri praticamente per ogni esigenza della vita quotidiana. In un questionario di autopresentazione sottoposto a inizio anno scolastico a tutta la classe, la ragazza si è definita «simpatica, allegra, felice», e bisogna riconoscere che tale appare nel suo comportamento, sempre interessata a quanto accade intorno a lei, desiderosa di imparare, socievole e collaborativa sia con gli insegnanti e le assistenti che la seguono, sia con i compagni i quali, per quanto fin troppo vivaci e talvolta poco disciplinati con gli insegnanti, sono sempre premurosi con lei, trattandola alla pari senza fastidio e senza pietismo. Non ho mai osservato in lei tracce di quel risentimento verso i sani che spesso siamo tentati di attribuire a chi sano non è. Certo, l’atteggiamento verso la propria malattia varia da persona a persona e non si può generalizzare. Tuttavia, mi sono reso conto che non è possibile prendere al posto di un altro la decisione se sia o meno un bene per lui venire al mondo.
LETTERA FIRMATA