Saldi nella fede della risurrezione
In quel tempo, Gesù disse: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Giovanni 6,37.39-40
«Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede», afferma san Paolo (1Corinzi 15,17). E Gesù assicura: «Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna; Io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6,40). Il senso della giornata di oggi, nella quale la Chiesa invita a fare memoria di tutti i fedeli defunti, si impernia sulla certezza della risurrezione dai morti. La promessa è il dono della Vita, elargito con larghezza dal Padre fin dal principio e mai revocato, nonostante il peccato. Così ogni creatura umana è innestata nell’eternità di Dio, che l’ha pensata, nel progetto originario della creazione, perché viva con Lui senza fine, godendo di un corpo, e non solo di un’anima, incorruttibile e immortale, che rimanga accanto alla sua suprema eternità e ne lodi e testimoni la grandezza: «La gloria di Dio è l’uomo vivente». Persa con il peccato la perfezione originaria, resta per l’uomo la promessa della risurrezione: questa si fa strada come una idea di compimento nelle pieghe delle Scritture, informa la riflessione dei Profeti e si presenta come una certezza in alcuni scritti storici, sapienziali e apocalittici.
Nelle diverse liturgie che la Chiesa propone per le Messe del 2 novembre spiccano Giobbe, il libro della Sapienza, il profeta Isaia, la visione di cieli e terra nuovi nell’Apocalisse di san Giovanni: tutti, con diversi accenti, professano la fede nella risurrezione del corpo. Già la morte dei Patriarchi, nella Bibbia, non è mai accompagnata da note disperate, ma piuttosto dalla serena consapevolezza che chi muore si riunisce a Dio e ai propri padri, continuando dunque a vivere. Nel libro sapienziale di Giobbe, che descrive l’esperienza di un uomo «integro, retto, timorato di Dio e alieno dal male» (Giobbe 1,1), il quale subisce ogni sorta di disgrazia e chiede a Dio ragione della sua sofferenza, la morte è effetto dell’invidia del satan, l’accusatore, nemico dell’uomo; essa colpisce lo stolto, il quale cede al maligno e non gli resiste (cfr. Giobbe 5). Dalla morte protegge la fede in Dio, il Vivente, al quale appartiene il potere di dare la vita e di richiamare a vivere i morti.
LA FEDE DI GIOBBE Di fronte alla proposta di antropologie arcaiche, secondo cui la sofferenza dell’uomo dipenderebbe da colpe pregresse dei suoi progenitori o di lui stesso, Giobbe prorompe in una professione di fede potentissima e dichiara che il suo corpo risorgerà: «Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, risorgerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, dalla mia carne vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro» (Giobbe 19,25-27). Nonostante le apparenze di una fine ingloriosa e i giudizi degli stolti, luminosa è la morte dei giusti: «Le loro anime sono nelle mani di Dio», «parve che morissero, ma sono nella pace», «la loro speranza è piena d’immortalità» e «nel giorno del giudizio risplenderanno» (Sapienza, 6,1-9).
Oggi, dunque, “riportiamo alla mente e al cuore”, nella “memoria” e nel “ricordo”, tutte le persone, specialmente le più dimenticate, che si sono addormentate salde nella fede in Cristo Gesù. Esse vivono nella luce e nella certezza della risurrezione, e ci precedono nell’amore e nella comunione dei santi, che non ha fine, pregando e intercedendo per noi.